Governo Renzi ed Eni mobilitati per salvare dal fallimento Sorgenia di Carlo De Benedetti?

IL CONTO, OVVIAMENTE, LO PAGHEREBBERO GLI IGNARI CITTADINI ITALIANI. QUESTO ED ALTRO PER MANTENERE SULLA BRECCIA L’UOMO CHE HA GIA’ ‘ALLEGGERITO’ DI CIRCA 500 MILIONI DI EURO LA FAMIGILIA BERLUSCONI CON IL ‘LODO MONDADORI’. E’ PER QUESTO CHE IL SINDACO DI FIRENZE E’ DIVENTATO PRESIDENTE DEL CONSIGLIO?

Da qualche settimana più di uno ha detto che, alle spalle del “nuovo che avanza”, c’è un modo di fare politica che non era affatto nuovo. Anzi, a dire il vero, il suo è un ritorno alla politica della “Prima Repubblica”, quella in cui alle spalle di politici, spesso eletti grazie a spinte esterne dei poteri forti, c’erano imprenditori e attori economici di alto livello. Personaggi che non hanno mai avuto alcun interesse a che si facesse il bene comune, ma che hanno sempre e solo pensato al proprio tornaconto. (a destra, foto di carlo De Benedetti tratta da formiche.net)

Tra i personaggi, spesso visti come sostenitori del nuovo esemplare di HOMO POLITICUS, molti hanno indicato Carlo De Benedetti, imprenditore venuto alla ribalta durante la Prima Repubblica, poi finito fuori dalle prime pagine dei giornali dopo la crisi della Olivetti e recentemente, proprio alla fine delle Seconda Repubblica (casualità?), tornato in auge per la causa che lo aveva visto vincitore della contesa giudiziaria contro Berlusconi per la vicenda del lodo Mondadori.

Di lui i giornali hanno cominciato a parlare di nuovo indicandolo come uno dei maggiori sostenitori del capo del governo, Renzi. Ma che interesse avrebbe un imprenditore del livello di De Benedetti (per di più visti i suoi rapporti con gruppi di potere di livello internazionale senza pari come i Rothschild) di schierarsi così apertamente dalla parte del “nuovo che avanza”, visto che avrebbe appena incassato da Berlusconi una cospicuo risarcimento (541,2 milioni di Euro)?

A dire il vero, un motivo pare che ci sia. Sì, perché, se da un lato è vero che l’”ingegnere” (così era soprannominato De Benedetti all’apice del suo splendore, durante la Prima Repubblica), dovrà incassare quei soldi, dall’altro è anche vero che una delle imprese controllate dalla sua famiglia, Sorgenia, avrebbe perdite che pare stiano diventando una voragine. Voragine che avrebbe raggiunto la stratosferica somma di 1,8 miliardi di Euro. Soldi principalmente dovuti alle banche. Eppure un imprenditore di vecchia data come lui non avrebbe dovuto fare un simile errore. Tanto più che i rischi legati a questo modo di gestire Sorgenia erano evidenti.

Qualche tempo fa Il Sole 24 ore scriveva: “Il peccato originale per Sorgenia data da molti anni ed è stato tanto debito, poco capitale e redditività decrescente. Un mix velenosissimo. Già nel 2009, il debito superava di 10 volte il margine lordo”. Eppure sia gli azionisti, cioè De Benedetti, che le banche, incuranti di una situazione finanziariamente e dal punto di vista imprenditoriale pericolosissima, “hanno aumentato l’esposizione salita del 50% e oggi a quota 1,8 miliardi”. Secondo l’autorevole giornale economico, “ora la soluzione sarebbe di riequilibrare la società. De Benedetti dovrebbe fare la sua parte e mettere 600 milioni [di Euro n.d.r.] in Sorgenia”. Tanto più che “in fondo è poco più del ricavato ottenuto dalla contesa Fininvest”.

Casualmente (ma, in economia e in politica le casualità sono praticamente inesistenti da circa quattromila anni), con una coincidenza temporale che non avrebbe dovuto passare inosservata, le banche hanno cominciato a considerare seriamente l’ipotesi di diventare azioniste di Sorgenia convertendo in azioni una parte rilevante dei quasi 1,8 miliardi di Euro di crediti vantati verso il gruppo. Eppure una simile decisione delle banche (Mps, Intesa, Unicredit e Mediobanca fra i principali finanziatori di Sorgenia controllata da Cir ovvero De Benedetti) non sarebbe una vittoria. Anzi, secondo gli esperti, si tratterebbe di correre un rischio ancora maggiore. Sì, perché in questo modo il potenziale fallimento di Sorgenia avrebbe conseguenze disastrose non solo sull’azienda, ma sui bilanci degli istituti di credito finanziatori.

Anche la proposta avanzata dalle banche di destinare denaro fresco all’impresa controllata dalla famiglia De Benedetti pare non sia andata a buon fine. Il tutto, guarda caso, è avvenuto quasi contemporaneamente all’ascesa al Governo di Renzi (un’altra casualità?).

Recentemente la disputa è salita di livello. Prima lo scontro si è fatto mediatico. Infatti, Rodolfo De Benedetti, figlio dell’”ingegnere” (“Sorgenia non è un caso politico, ma un problema azienda-banche”), ha rivendicato l’estraneità del padre da queste vicende (come dire che Berlusconi non ha niente a che vedere con Mediaset…). Così il Corriere della Sera (di proprietà di parte delle banche creditrici di Sorgenia) avrebbe sottolineato le entrature politiche di stampo renziano che potrebbero salvare il disastrato del polo energetico. Per contro su Repubblica (controllato da De Benedetti) il figlio dell”’ingegnere” ha tentato di spiegare che il problema riguarda una “strategia” aziendale che avrà frutti nel 2017 (dimenticando che la questione con le banche riguarda il periodo 2014/2016) e, al tempo stesso, ha confermato che il problema sarebbe colpa del “capacity payment”.

Ma cos’è il “capacity payment”? In poche parole, a causa del boom delle energie rinnovabili (oltre che dell’abitudine di acquistare energia dall’estero) e della crisi economica, che ha ridotto sensibilmente i consumi di energia, le centrali elettriche tradizionali che producono energia con il gas restano spente per molto tempo. E i bilanci delle aziende loro proprietarie crollano.

Ecco quindi che il Governo ha pensato (in realtà, dato che ormai pare che i nostri politici non sappiano più scrivere le leggi, quella italiana sarebbe una copia mal riuscita di una misura adottata nei Paesi anglosassoni) ad una misura in base alla quale i proprietari degli impianti termoelettrici vengono pagati lo stesso anche se le turbine non girano (non vengono pagati dai consumatori, ma dallo Stato per la loro capacità di produrre energia).

Ovvio che una simile misura avvantaggia soprattutto le aziende maggiormente colpite dal mercato, come, ad esempio, Sorgenia. Questa misura, nata alla fine del Governo Letta, è diventata oggetto di dispute incandescenti nel momento in cui si doveva stabilire quanti soldi dovevano andare e a chi.

A dover decidere sarebbe il Ministero dello Sviluppo, che sentita l’Authority, deve decidere entro la fine di marzo 2014. Casualmente (ma, come detto prima, in questo campo le casualità sono una cosa rara), a capo del ministero sono state poste, nell’ultimo periodo, figure che non possono essere certo considerate nemiche di De Benedetti. Anzi. E la situazione non è migliorata con il “governo del fare” che con rapidità sorprendente è stato messo quasi di peso alla guida del Paese. Ora il compito di salvare De Benedetti, pardon, il Paese, è nelle mani di Renzi che, con la nomina della Guidi al vertice del ministero non ha fatto altro che gettare legna sul fuoco acceso da chi pensava che tale nomina (anomala anche per il presunto conflitto di interessi tra la ministra e le sue attività imprenditoriali) sarebbe stata conferita proprio per favorire gli interessi di qualcuno.

Alcuni sono arrivati al punto di pensare ad una fusione (immediatamente smentita dal figlio dell’”ingengere” ma, si sa, in certi casi le smentite equivalgono a conferme) tra Sorgenia ed Eni. La verità è che con le banche sul collo e i soci che non vogliono uscire più un Euro per Sorgenia, casualmente la soluzione potrebbe venire proprio dall’intervento dell’Eni. Sì, perché trasformando i crediti in azioni le banche diventerebbero proprietarie di Sorgenia (e quindi dei suoi debiti). Ma le banche con la crisi che attraversano metterebbero subito sul mercato le loro azioni e qualcuno, magari lo Stato, attraverso l’Eni, potrebbe casualmente intervenire acquistando queste azioni…

Così le banche avrebbero i loro soldi, o almeno una parte considerevole (ma sempre meglio che niente). De Benedetti riuscirebbe a salvare da un fallimento ormai più che probabile l’impresa di famiglia. E Renzi sarebbe felice di essere il “nuovo che avanza”.

Gli unici a non essere felici saranno gli italiani che, come è successo per Alitalia prima, per Bankitalia dopo (con l’aumento di capitale) e per molti altri casi analoghi, saranno costretti a pagare con i loro ultimi risparmi i debiti accumulati da industriali miliardari. Gli stessi che correndo dal loro panfilo all’aeroporto per prendere un jet privato (la loro vita, a volte, può essere davvero dura) non si prenderanno nemmeno la briga di fermarsi e di dire “grazie”.

 

 

 


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