In controcorrente rispetto ai colleghi che si oppongono alla chiusura delle facoltà decentrate, gli studenti di Medicina sperano di essere trasferiti a Catania. Durante un incontro con il Rettore hanno detto no alla strategia del fino ad esaurimento scorte
Gli aspiranti medici: ‘Eutanasia per Ragusa’
Strano ma vero, c’è qualcuno che nella scelta dell’Ateneo catanese di non attivare i primi anni dei corsi decentrati a Ragusa vede una possibilità di migliorare la propria condizione. Sono gli studenti di Medicina e chirurgia, quelli che si sono classificati negli ultimi 50 posti della graduatoria per l’iscrizione e sono stati quindi “smistati” nel capoluogo ibleo.
Sono forse il gruppo più numeroso accorso al Consiglio provinciale indetto in piazza Università giovedì scorso, e sono venuti principalmente per far sentire la loro voce fuori dal coro, il loro no alla sede decentrata.
«Quanto sta succedendo era quello che speravamo un po’ tutti» esordisce Elisa. «Noi vogliamo che i sei anni di Ragusa vengano accorpati ai tre poli di Catania. Smistare 50 persone in tre poli significherebbe inserire circa 16 persone a polo e non cambierebbe la situazione».
I problemi del polo (chiamato più o meno scherzosamente “incognito”) ragusano sono moltissimi, a cominciare dall’assenza di un Policlinico. Dove si fa tirocinio allora? Ci si sposta un po’ ovunque per la provincia, da Modica a Comiso, passando per Scicli.
Altro problema quasi paradossale è la loro condizione di “fuorisede” per obbligo. «Si fa un test d’ingresso dove si candidano più o meno 2000 persone e vengono ammesse 250. Le ultime 50 sono costrette ad andare a frequentare a Ragusa», ci racconta Rachele. «E magari vivi a cinque minuti dal policlinico di Catania…».
Specializzazioni funamboliche, laboratori carenti, strutture che lasciano a desiderare… «A Medicina le cose funzionano un po’ diversamente rispetto alle altre facoltà – continua Rachele – . Nella maggior parte dei casi c’è un grosso malcontento nei confronti di questo polo, anche perché non funziona. Le lezioni hanno degli orari molto scomodi che impediscono di trovare delle ore per studiare. Iniziano alle diecidi mattina e finiscono all’una; riprendono alle tre del pomeriggio e finiscono verso le sei. Abbiamo l’obbligo di frequenza, dopo una giornata del genere è impossibile studiare».
La domanda è inevitabile: gli aspiranti medici sono soddisfatti della piega che sta prendendo la situazione? «A patto che noi non rimaniamo là» chiarisce Elisa. «Se il primo anno non è attivato e noi restiamo – come ci dicono – fino a esaurimento scorte? È il suicidio, perché già adesso non va benissimo: non abbiamo un Policlinico, anche fare il tirocinio è difficile. Molti vanno a Modica, Comiso, Scicli, Vittoria… Alcuni professori ci hanno già detto che non verranno più, sarà lo sfacelo totale».
Quando l’Assemblea provinciale era nel pieno del suo svolgimento, il gruppetto di delegati medici ha chiesto e ottenuto un incontro con il Rettore per chiarire la situazione del loro Corso di Laurea. Il prof. Recca – che ha accolto i ragazzi assieme al prof. Giacomo Pignataro, presidente della Scuola Superiore e membro del Consiglio d’Amministrazione – ha ammesso gli sbagli fatti in passato nell’attivare un corso di Medicina in un’area del tutto priva delle strutture idonee. «Fate un’assemblea – ha suggerito il Rettore – e preparate un documento comune nel quale esponete i vostri problemi. Vedremo (se la legge ce lo consente) di far svolgere a Catania il maggior numero di attività didattiche possibile».
Un po’ più sereni, ma sempre desiderosi di far conoscere la loro voce – in questi giorni pressoché ignorata – i ragazzi si preparano ad organizzare quanto prima un incontro, chiedendo che anche il diritto allo studio di questi strani studenti apolidi venga preso in considerazione come quello dei colleghi ragusani e catanesi.