Un'organizzazione complessa, con basi in diverse province dell'Isola e anche all'interno del Cara di Mineo, è stata bloccata dagli inquirenti palermitani. Le indagini sono partite nel 2013, quando un barcone con almeno 366 persone naufragò a largo delle coste di Lampedusa. In carcere sono finite 24 persone. Guarda il video
Glauco II, smantellata rete trafficanti di migranti In centinaia rapiti nel deserto e fatti prigioneri
Una vasta rete criminale, dedita al favoreggiamento dell’immigrazione e della permanenza di migranti, formata da cittadini eritrei, etiopi, ivoriani e ghanesi. Un giro di affari milionario sulla pelle di migliaia di connazionali. È l’organizzazione smantellata dalla polizia su ordine della Direzione distrettuale antimafia di Palermo che ha disposto l’arresto di 24 persone. L’inchiesta è coordinata dal procuratore palermitano Francesco Lo Voi e dall’aggiunto Maurizio Scalia. Nel corso delle indagini è stata scoperta anche una cellula complementare a quella che agisce in Africa che si muove tra le province di Palermo, Agrigento, Catania e anche Milano. I componenti di questa seconda rete avrebbe gestito le fughe dei migranti dai centri di accoglienza, il supporto per rimanere clandestinamente in Italia e quello per poi espatriare nel nord Europa. Una base è stata scoperta anche nel Cara di Mineo, in provincia di Catania, dove una serie di complici avrebbero messo in contatto le persone appena arrivate in Sicilia con i parenti già in Nord Europa. I ricongiungimenti sarebbero stati promessi in cambio di cifre che vanno dai 250 ai mille euro a persona. Un business che nella sua complessità avrebbe fruttato centinaia di migliaia di euro.
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Sono due le figure-chiave individuate dagli inquirenti: Ermias Ghermay, etiope, e Medhane Yehdego Redae, eritreo. Sarebbero i nomi più importanti del traffico che segue la cosiddetta rotta libica. Ghermay, infatti, vive a Tripoli; Zuwarah risulta latitante dal luglio del 2014, quando nei suoi confronti è stato emesso un provvedimento cautelare internazionale perché riconosciuto responsabile del viaggio che portò al naufragio del 3 ottobre 2013 davanti alle coste di Lampedusa, in cui persero la vita almeno 366 persone. A loro si aggiunge Asghedom Ghermay, fratello di Ermias, detto Amice. Sarebbe stato lui l’anello di congiunzione in Sicilia tra i trafficanti in Africa e i componenti sparsi per l’Isola.
L’inchiesta parte dalla tragedia del 2013. In quell’occasione è stato identificato uno dei presunti scafisti, condannato a 20 anni di carcere. Gli inquirenti hanno scoperto come la rete intercettasse i migranti durante i viaggi nel deserto. Persone che poi sarebbero state rapinate, torturate, derubate del denaro per poi essere consegnati a quanti organizzano le traversate dalle coste libiche. Da lì i gruppi di persone in attesa di partire sono tenute sotto la vigilanza di guardie armate in attesa dell’imbarco. L’attività dei due presunti trafficanti di vite continuerebbe anche quando i passeggeri dei barconi sbarcano in Sicilia.
Attraverso le intercettazioni telefoniche sui cellulari di Ermias Ghermay è stato possibile risalire all’identità degli altri componenti dell’organizzazione, fermati oggi, e stabilirne i ruoli.