Presentati nel corso di Descritto il romanzo Passione di Michele e la raccolta di articoli Un anno. Unoccasione per discutere del giornalismo a Catania e di ciò che il giornalista assassinato dalla mafia ha lasciato ai giovani che non lo hanno conosciuto
Giuseppe Fava, due libri per raccontare la Sicilia
«Giuseppe Fava non è solo un giornalista ucciso dalla mafia. Siamo sempre portati a incasellare le vittime per sentirci rassicurati, e poi ce ne dimentichiamo. Quanti di voi conoscono la storia di Fava? Quanti si sono sentiti orgogliosamente catanesi, al pari di lui, nel combattere contro questa realtà?». Sono le parole di Elena Fava, intervenuta alla presentazione, all’interno di “Descritto” dei due libri di Giuseppe Fava pubblicati dalla casa editrice Mesogea, “Un anno” e “ Passione di Michele”. Molti i temi discussi: il giornalismo in Sicilia, il significato di Fava per i giovani catanesi, il confine labile tra giornalismo e letteratura. Tra gli intervenuti, i giornalisti di Step1 e lo scrittore Toto Roccuzzo, che oltre a parlare delle opere di Fava, ha raccontato qualche suo ricordo personale.
Biagio Guerrera, che modera il dibattito, comincia leggendo un articolo de “I Siciliani” – rivista antimafia fondata da Giuseppe Fava – uscito all’indomani dell’assassinio del giornalista, avvenuto il 5 gennaio 1984. Gianfranco Faillaci, coordinatore di Step1, ricorda che «le ragioni della morte di Fava vanno ricercate in quello che aveva scritto». Il processo Fava, iniziato solo 12 anni dopo l’omicidio, ha confermato la matrice mafiosa dell’omicidio limitandosi però ad accertare solo alcune responsabilità tra i boss catanesi. «Una verità parziale, dovuta al fatto che per anni si è voluto ostinatamente negare che Fava fosse stato ucciso dalla mafia». “Un anno”, la raccolta degli articoli scritti da Fava nell’83 per I Siciliani, è «un libro ricco e sorprendente che abbraccia una grande varietà di temi e racconta la Sicilia a tutto tondo». Un libro da leggere insieme al romanzo “Passione di Michele”, che narra la storia di un siciliano emigrato in Germania e presenta luoghi e tematiche che si ritrovano anche negli articoli di Fava: «L’emigrazione con, sullo sfondo, il dramma del sogno fallito dell’industria al sud, o il tema centrale della giustizia che prende corpo nel processo, con tutta la teatralità con cui Fava ha saputo raccontarla». Secondo Toto Roccuzzo “Passione di Michele” è «il romanzo più meditato e riuscito di Fava. Le tematiche della giustizia, dell’amore, della violenza sono ben miscelate e il personaggio di Michele è scolpito in modo indimenticabile, come il paese in cui è nato, Palma di Montechiaro. “Passione di Michele” – aggiunge Roccuzzo – è un libro che ho molto amato. “Un Anno” invece l’ho vissuto perché, allora, collaboravo con il gruppo de “I Siciliani”».
Dal rapporto tra giornalismo e letteratura, da quelle «inchieste che diventano racconti» l’attenzione si sposta allo stato attuale delle cose. Cosa è cambiato dopo la morte di Fava? Faillaci racconta: «Nei 26 anni che sono passati da allora, abbiamo visto crescere qualche leva di giovani catanesi e qualche generazione di giovani giornalisti. Ma non abbiamo ancora visto crescere, sulla scia di Fava, una generazione di giornalisti catanesi. C’è chi è rimasto a Catania smettendo di fare il giornalista, c’è chi invece, per diventare giornalista, ha dovuto smettere di essere catanese e ha lasciato la città».
Si passa poi a una domanda che coinvolge due giovani redattori di Step1 presenti, Agata Pasqualino e Leandro Perrotta: «Quanto c’è di Pippo Fava in chi non l’ha conosciuto?». Agata Pasqualino risponde parlando di tre diverse dimensioni in cui Fava è entrato nella sua vita. Il Fava antimafia, che tutti conosciamo, quello delle pagine di “Un Anno”, che ha «influenzato il mio modo di vedere la città e la mafia»; il Fava giornalista-scrittore a cui deve ispirarsi chi vuole iniziare un mestiere come quello di giornalista, che deve rapportarsi alla verità; quella verità che se raccontata, come diceva Fava nell’articolo “Lo spirito di un giornale”, “sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo”.
Ma c’è anche, aggiunge Agata Pasqualino, «un Fava che mi parla: dell’essere siciliano, della mia città, dei quartieri in cui ho vissuto». Un Fava il cui pensiero sembrava essere già rivolto alle generazioni future, motivo per cui le tematiche trattate risultano così attuali. Come il tema dell’emigrazione: «Fava parlava di un milione di giovani siciliani emigrati nell’età più florida. Io sono rimasta, ma tantissime volte ho pensato di andare via. Forse l’insegnamento più forte di Fava che adesso mi accompagna è in queste parole: “A che serve vivere se non si ha il coraggio di lottare?».
Un altro redattore di Step1, Leandro Perrotta, sottolinea quanto sembra essere rimasto immutato dalla morte del giornalista: «Si sta perdendo anche quello di buono che Fava raccontava in alcuni suoi articoli, quel modo unico che aveva lui di raccontare e che dovremmo recuperare. Ci sono senz’altro delle cose che possiamo fare per migliorare. Certo, non vorrei ritrovarmi tra altri dieci anni a ricordare Fava parlando ancora di cose che, da allora, non sono cambiate».
Toto Roccuzzo ha poi condiviso con il pubblico alcuni ricordi personali: «Pippo aveva dialogato nel dopoguerra con mio padre, ponendosi il problema di cosa fare dopo la caduta del fascismo. Hanno preso strade diverse, ma questo non ha influito sulla loro amicizia». E a proposito del tema della giustizia, racconta un aneddoto risalente a quando Fava rinunciò a fare l’avvocato. «Quand’ero studente mi raccontò di aver vinto una causa inventandosi una sentenza di Cassazione. Allora capì che nel rito della giustizia c’è una componente puramente convenzionale e decise di prendere un’altra strada».
A chiudere l’incontro l’intervento della figlia di Giuseppe Fava, Elena: «Mi auguro che questa sia stata un’occasione da cui trarre una certa conoscenza di Fava scrittore». E ringrazia la casa editrice Mesogea che ha «riproposto due libri che oggi è difficile trovare in libreria. Nel 1984 circolavano tante edizioni dei suoi scritti. Ma poi si dimentica tutto. Dopo 26 anni è giusto riproporre degli scritti che mantengono viva l’attività di Fava. E che ci diano la possibilità di pensare che la storia è un continuo ripetersi».