Giovanni La Via cerca il bis all’Europarlamento «Per avere competenza meglio liste bloccate»

Si definisce «un politecnico», fusione tra «le competenze docente universitario» di Economia e politica agraria – e «la professionalità del politico». Il catanese Giovanni La Via ci riprova. Un mandato da deputato europeo in dirittura d’arrivo e una nuova candidatura per tentare il bis. Nel frattempo ha cambiato partito, scegliendo di seguire Angelino Alfano e Giuseppe Castiglione nel Nuovo centro destra e abbandonando Silvio Berlusconi. Senza scordare il primo uomo politico che gli ha dato fiducia, quel Salvatore Cuffaro, oggi in carcere per scontare la condanna di favoreggiamento a Cosa Nostra. «Una persona corretta e attenta ai più deboli», lo definisce La Via. L’europarlamentare rivendica il suo ruolo nell’aver «spostato verso Sud l’asse delle politiche agricole comunitarie» e lancia un appello per introdurre le liste bloccate alle elezioni europee. «Con le preferenze arrivano a Bruxelles i più popolari e non i più competenti. Ad esempio tanti giornalisti, attori e soubrette», afferma.

Onorevole La Via, i siciliani sentono molto distanti le istituzioni europee. Come fare per cambiare questo atteggiamento?
E’ vero, i cittadini percepiscono un’Europa che non sa dare risposte ai territori. Ma una grande responsabilità in questa visione è della Regione Sicilia. L’Europa non interviene direttamente, ma trasferisce risorse alle regioni che autonomamente programmano interventi e li realizzano grazie a questi fondi.  Solo che spesso non si dice che queste azioni della Regione sono finanziate da Bruxelles. Rimane scritto solo sui cartelli dei lavori in corso.

Qualche esempio su scala siciliana?
Se oggi partono i lavori per il tratto dell’autostrada tra Rosolini e Modica si deve all’Europa. Così come per la ferrovia tra Palermo e Castelbuono, che serve a velocizzare il collegamento con Catania, o ancora la riqualificazione del porto di Augusta.

Forse parlare sempre e solo di economia non aiuta a sentirsi cittadini europei…
Accentuiamo spesso alcune deficienze, così si parla solo di patto di stabilità o trasparenza delle procedure. E l’Europa viene additata come quella che non permette di fare le cose. D’altra parte è vero che il processo di unificazione degli Stati uniti europei è incompleto: manca, ad esempio, una politica comune per gli esteri, la difesa – con enormi diseconomie di scala – e l’immigrazione. Dobbiamo far capire che a Sud i confini italiani sono anche quelli dell’Europa.

Eppure l’Italia è solo al quinto posto tra i Paesi europei per numero di richieste d’asilo ricevute.
A maggior ragione è un dato che dimostra che l’immigrazione che viene da Sud coinvolge necessariamente anche gli stati del Nord Europa, perché è lì che gli immigrati vogliono andare. Svezia e Germania offrono servizi di gran lunga migliori rispetto a noi: danno una casa e un assegno di sostentamento a queste persone.

Dovremmo offrire anche noi un’accoglienza migliore?
Bisogna cambiare la politica europea dell’immigrazione, che va gestita insieme. Non possiamo pensare che ogni Paese affronti in modo diverso il problema.

In Sicilia uno dei luoghi cardine di questa accoglienza è il Cara di Mineo. Come valuta questa esperienza?
Ho effettuato una sola visita annunciata con altri parlamentari europei. Mi è sembrato funzionale e funzionante.

Che rapporti ha con il consorzio Sisifo che lo gestisce?
Sono solo proprietario dell’appartamento a Catania dove ha sede il consorzio. L’ho messo anni fa in affitto tramite un’agenzia. Quest’ultima mi presentò il consorzio Sisifo che a quei tempi si occupava di cooperative sociali e assistenza domiciliare. Non ho altri rapporti di alcun tipo.

Qual è secondo lei l’aspetto in cui la Sicilia è più indietro rispetto all’Europa?
Le infrastrutture, sicuramente. La Regione non è riuscita ad utilizzare il rilevante flusso di fondi europei che dal 1990 l’Ue ha messo a disposizione per recuperare il gap nella rete dei trasporti.

A proposito, l’Europa ha recentemente escluso l’aeroporto Fontanarossa dal Core network, la rete di infrastrutture ritenute strategiche. Come pensa di contribuire a cambiare questa situazione?
In quel caso un grosso errore lo ha commesso il ministero che ha comunicato un numero riduttivo di cittadini che gravitano su Fontanarossa. Non sono solo i residenti della provincia di Catania, ma di sette province siciliane. Questo però non preclude l’accesso alle risorse.

L’Europa però ha anche puntato il dito contro la mancanza di un collegamento tra la città e l’aeroporto…
La verità è che mancano i progetti. Si parla di allungamento della pista, di servizi aeroportuali. Se ci fossero progetti concreti, l’Europa li finanzierebbe.

C’è invece un aspetto, secondo lei, in cui la Sicilia è in linea con il resto d’Europa?
Bisogna sforzarsi, perché dall’Europa ci distanziano troppe cose. Però abbiamo alcune punte di eccellenza nel sistema di ricerca e innovazione: parlo dell’information technology e di tutto quello che ruota attorno alla nano e micro elettronica. L’integrazione tra ricerca e sistema produttivo industriale ha determinato ricadute positive nel tessuto economico.

Fondi europei. Bruxelles è l’unica sede decisionale dove è possibile spendere. Come fare in sede locale per usare davvero le risorse assegnate? Dai parlamentari europei siciliani non sarebbe auspicabile un’azione di controllo o supervisione?
Ai sensi della Costituzione la competenza dell’uso delle risorse europee spetta esclusivamente alla Regione, che ha commesso molti errori. Nel nome della trasparenza è stata fatta una rotazione di funzionari che ha privato di competenze stratificate nel tempo. Molti funzionari dediti a una determinata attività sono stati spostati ed hanno ricominciato da zero. Un’usanza di Crocetta ma anche di Lombardo. Inoltre c’è un eccessiva complessità delle procedure. L’Europa impone di fare bandi di evidenza pubblica per assegnare le risorse, ma noi siamo l’unico Paese a richiedere una documentazione molto complessa e che scade nel tempo, come il Durc o il certificato antimafia.

Farebbe a meno del certificato antimafia?
Se lo consideriamo indispensabile, allora serve rafforzare le strutture che lo rilasciano e non farlo diventare un elemento di strozzatura per le procedure: sei o otto mesi di attesa sono troppi.

Se dovesse scegliere solo una battaglia da portare in Europa, cosa le viene in mente?
Il redemption fund. L’Italia ha un debito pubblico di 2.220 miliardi di euro. Paga 80 miliardi di euro d’interessi all’anno. Se, come atto politico, potessimo avere come garanzia il bilancio dell’Unione europea, avremmo come effetto immediato il crollo del costo del denaro. Pagheremmo 40 miliardi all’anno, anziché 80. Si annullerebbe lo spread e si troverebbero risorse pari a 20 volte l’Imu sulla casa di cui si è tanto discusso. Ci sarebbe anche un costo del denaro più basso per le imprese. Nel Sud Europa le aziende riescono ad avere credito con il 7-8 per cento di tasso d’interesse. In Nord Europa al 3 per cento. Annullare questa differenza porterebbe nel tempo più investimenti.

Si è occupato direttamente di politiche agricole, vista la sua professione. Secondo lei l’Europa sostiene maggiormente i contadini dei paesi del Nord?
Per lungo tempo sono stati esclusi i prodotti mediterranei dalle risorse europee. Gli aiuti erano indirizzati solo alla zootecnica, alla cerealicoltura, al massimo all’olivicoltura. Oggi non più, grazie anche all’impegno mio e del deputato del Pd Paolo De Castro: io ho scritto la riforma, lui presiedeva la commissione che l’ha approvata. Adesso nel sistema degli aiuti diretti rientrano i coltivatori di vite, ortaggi e frutti. Abbiamo spostato a Sud l’asse dell’agricoltura. Ma è stato un caso che due professori specializzati in questo tema siano capitati a Bruxelles. Molti europarlamentari italiani sono incapaci ed è colpa delle preferenze.

Vorrebbe le liste bloccate?
I nostri competitors europei mandano il meglio delle loro competenze nazionali. Questo si verifica perché 23 paesi su 28 hanno le liste bloccate per le elezioni europee. Quando queste persone si siedono al tavolo delle contrattazioni, portano capacità e competenze per negoziare e tutelare l’interesse dei loro Paesi. Da noi invece il sistema elettorale privilegia la notorietà, così abbiamo giornalisti – dalla Gruber a Santoro, fino agli attuali candidati -, cantanti, attori e soubrette.

Il quadro che ha delineato dell’agricoltura stride con accordi come quello con il Marocco per la liberalizzazione di diversi prodotti ortofrutticoli che ha danneggiato gli agricoltori siciliani.
In quell’occasione il centrodestra si è schierato contro, il Pd a favore. Alcuni parlamentari europei eletti in Sicilia non hanno nemmeno partecipato al voto.

Critica molto la Regione Sicilia, ma anche lei ha fatto parte di alcuni governi a Palermo. A cominciare da quello di Totò Cuffaro. In quella sede cosa ha fatto per cambiare il sistema?
Riporto un solo dato: in nove mesi abbiamo collaudato seimila pratiche con i bandi a sportello.

Di Cuffaro e della sua condanna cosa pensa?
Ho sempre avuto un’opinione positiva su di lui, nell’azione di governo mi è sempre sembrato attento ai problemi dei più deboli. E poi l’accettazione esemplare della pena comminata lo riscatta da qualsiasi errore possa aver fatto. Nei miei confronti ha mostrato correttezza assoluta e grande rispetto. Mi ha sempre lasciato mano libera senza interferenze.


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Il docente ed eurodeputato uscente ci riprova nelle fila del Nuovo centro destra, forte delle sue competenze che, dice, «mi hanno permesso di spostare a Sud l'asse delle politiche agricole comunitarie». Punta il dito contro la Regione, «non in grado di usare i fondi comunitari, per la mancanza di progettualità». Che penalizza anche il futuro di Fontanarossa. Condanna le preferenze che «privilegiano la notorietà di soubrette e giornalisti» e difende Totò Cuffaro, di cui è stato assessore. «Una persona corretta e vicina ai più deboli», afferma

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