Giovani laureati in Sicilia: arrangiarsi o scappare via lontano nei Paesi esteri

“E dopo la laurea cosa fai?”. Una di quelle domande diventata di rito, che ha perso ogni suo originario significato, domanda alla quale non si aspetta più una risposta, che si formula tanto per chiedere qualcosa a proposito … Una domanda trasformatasi in un intercalare proprio come il “come stai?” ma che a differenza di quest’ultima, si arricchisce di un inconscio sadico piacere nel assistere all’imbarazzo e al balbettio che nella maggioranza dei casi il malcapitato intervistato cerca di nascondere e dissimulare in un innaturale contegno.
Sarà che siamo in crisi. La crisi di governo, ministeriale, del lavoro, finanziaria, politica, civile, dell’università, energetica, religiosa, della famiglia, di coppia, della società, di coscienza, isterica, la grande crisi, uscire dalla crisi. Dal latino crisis dal greco krÍsis da krÍno, separare e decidere. Ma separare da cosa? Decidere di fronte a quale dilemma? La separazione è già avvenuta. Ognuno di noi, soprattutto i giovani, ci siamo separati, frammentati e il malessere, il disorientamento dettato da questa condizione non tarda a manifestarsi e urla nei fatti, nelle scelte individuali che si riversano nella società, che si amplificano e continuano ad echeggiare come presagi, attese di qualcos’altro.
“È caratteristica dell’uomo essere soggetto a un freno non fisico, ma morale, cioè sociale. Quando la società è scossa da una crisi dolorosa (…) essa è provvisoriamente incapace di esercitare sull’individuo questa azione. Nei casi di disastri economici si verifica infatti un declassamento che spinge certi individui in una situazione inferiore a quella occupata fino allora. Essi debbono così diminuire le proprie esigenze, restringere i bisogni, imparare a contenersi di più. Per quanto li concerne tutti i frutti dell’azione sociale vanno perduti e la loro educazione morale è da rifare. Ora, non è che la società possa piegarli in un attimo a questa nuova vita e subito insegnare a esercitare su se stessi un sovrappiù di costrizioni cui non sono avvezzi. Ne consegue per loro una inidoneità alla condizione sopravvenuta di cui la semplice prospettiva è per essi quasi intollerabile. Da qui le sofferenze che li distaccano da una vita diminuita prima ancora che ne abbiano fatto l’esperienza”. ( Emile Durkheim, 1897 )
“E dopo la laurea cosa fai?”, qualcosa che adesso suona più come: “E della tua vita cosa ne fai?”. Abbiamo voluto ascoltare cosa ne pensa Adriano, un ragazzo come tanti, di 23 anni, iscritto al primo anno fuori corso all’Università degli Studi di Palermo.
Chiediamo: a quando la laurea? Adriano riflette. Dice: “Non so, di solito per scaramanzia non se ne dovrebbe parlare, ma comunque credo che ce la farò per il prossimo anno. Sto cominciando a scrivere la tesi, dopo aver combattuto a destra e a manca con professori sfuggenti, reticenti, scettici, annoiati e bidonari”.
Bidonari? Questa parola non la conoscevamo. Ovvero? Il nostro interlocutore sorride. Spiega: “Nel senso che tirano bidoni … che fanno buca! Sia a me che ai miei colleghi, prima dicono di sì, poi ci ripensano e ci licenziano cordialmente tramite e-mail”.
‘Bidoni’ a parte, cosa c’è nel tuo ‘dopo’? Cosa intendi fare dopo che ti sarai laureato? Hai già un programma? Adriano scoppia in una sincera risata, che si esaurisce nei piccoli fremiti che gli scuotono le spalle e nel velo d’amarezza e disillusione che si posa, d’un tratto, sui suoi occhi. Dice: “Non lo so, anzi, non ne ho la minima idea! Cercare un lavoro sarebbe quello che mi premerebbe di più, perché vorrei andare a vivere per conto mio; ma l’offerta è sempre la stessa, non trovo nulla che mi prospetti un’evoluzione futura. Ad esempio, quando stamattina ho dato uno sguardo, su subito.it, c’erano sempre le solite richieste: operatori call center, rappresentanti di tal prodotto e/o servizio, venditori, badanti, volantinaggio ecc… Certe volte penso di essere io lo schizzinoso, ma non è questo il punto: io non snobbo questi lavori, anzi, solo che forse la mia vita l’avevo immaginata diversamente. Intraprendere una carriera, ad esempio, nella rappresentanza di macchinette per il caffè dove mi porterebbe? E soprattutto: perché mi sto laureando? A cosa serve la laurea se poi sarò un rappresentante di prodotti che possono vendere tranquillamente anche con un titolo di studi inferiore alla laurea?”.
Adriano prende fiato. Riflette. Poi aggiunge: “Sono stato così sfigato pure ad avere un padre operaio, che attualmente ha anche perso il lavoro, e una madre casalinga”.
Nel dirlo non trattiene il tono ironico che ci strappa un sorriso. Poi riprende: “Ci sono persone che conosco o di cui sento parlare, che sono già sistemati nell’attività o nell’impresa avviata dai propri genitori, che possiedono uno stipendio e non pensano al proprio futuro perché il loro futuro è davanti ai loro occhi: una tavola apparecchiata. Funziona così, purtroppo. Per tipi come me è in salita, per altri è in discesa. Sarà solo l’invidia che mi fa parlar? Chi non la vorrebbe una vita facile al posto di una agra? Per tornare alla tua domanda, non ho imbarazzo ad ammettere che ciò che mi riserba il futuro non fa che spaventarmi ogni giorno di più. Io ho paura. Ho paura di trovarmi con questa laurea fra le mani e guardarmi attorno pensando fra me e me: e adesso? Quando parlo con i miei colleghi o con i miei amici, percepisco la stessa confusione, lo stesso smarrimento che mi attanaglia. Alcuni dicono di voler lasciare Palermo, di andare via… Ma dove? Per andare a far che? Quando lo domando mi rispondono: “Qualsiasi cosa. Basta che me ne vado da qui.”
La fuga dei cervelli è una soluzione? “Assolutamente no! – ci risponde Adriano -. Io penso che scappare dalla propria terra non cambierà mai le cose. Noi giovani abbiamo il potere di cambiare tutto ma, se solo, per quanto mi riguarda, mi dessero delle risposte, degli incoraggiamenti, anziché sentire sempre le solite solfe: ‘Ragazzi andate via che qua non c’è niente…’, proprio come ha consigliato ieri a lezione una professoressa. Sarà che siamo siciliani e abbiamo la lagnusia nel sangue? Mi ricordo quando lessi il ‘Gattopardo’, come diceva? Mi pare: il sonno è ciò che i siciliani vogliono…. la nostra sensualità è desiderio di oblio, la nostra pigrizia desiderio di morte. Io vorrei rimanere, vorrei costruire il mio futuro a Palermo, la città in cui io sono nato, dove i miei genitori sono nati. Vorrei un futuro che almeno un po’ somigli a quello che mi sono sempre figurato”.
A cosa serve questa laurea, dunque? Adriano torna a riflettere. Poi aggiunge: “La laurea serve ad avercela, serve ad essere laureati. Per alcune professioni come medico, ingegnere o avvocato è obbligatoria, forma la figura professionale, conferisce le competenze, poi sul fatto di andare a impiegare queste figure professionali è un altro discorso…”.
Ora il nostro interlocutore si accende una sigaretta. Aspira la prima boccata; poi la seconda. Poi riprende: “Non chiedermi, per favore, perché non smetto di fumare. Sono troppo giovane per smettere. Per il resto, per quelli di scienze della formazione, lettere e filosofia, scienze … non so bene dire a cosa serva la laurea, ma non perché sia meno importante di quella in medicina, ad esempio, ma perché mancano di specificità e limitatezza. Con questo genere di titoli puoi far tutto come puoi far niente. Una cosa è dire: bene, mi sono laureato, sono un medico; un’altra è dire: bene, mi sono laureato, sono un filosofo. Mi spiego?”
Ora Adriano distoglie subito l’attenzione da me per guardare il cellulare, forse guarda l’ora. Si passa una mano fra i capelli, sembra ansioso. Tutto bene?, chiediamo.
“Scusa. Sono questi discorsi che mi fanno agitare, tu non avevi altro da fare che inquietare me?”.
Sorridiamo insieme. Un ultima domanda: che corso di laurea frequenti?
“Giornalismo per uffici stampa, sono tuo collega”.

 

 


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