Rifiutata la richiesta di cassa integrazione straordinaria per la storica ditta dell'indotto. Un'importante fetta di dipendenti si avvia verso il licenziamento. Intanto Eni riduce il proprio organico a 400 unità. La Cgil punta il dito contro la «latitanza del governo nazionale e dei deputati regionali»
Gela, mobilità per 112 lavoratori Smim I sindacati accusano politica e imprese
«A Gela non si perderà neanche un posto di lavoro», ha ripetuto più volte Rosario Crocetta nel corso del 2015. Rivolgendosi soprattutto ai lavoratori, preoccupati per una riconversione della Raffineria di cui ancora non si vedono risvolti concreti. È notizia di ieri, invece, che alla Smim impianti, storica impresa dell’indotto, è stata rifiutata la richiesta per la proroga della cassa integrazione straordinaria per 112 operai. I quali a breve dovrebbero ricevere, a meno di improbabili colpi di coda dell’ultimo minuto, le lettere che annunciano la chiusura del rapporto lavorativo. Aggiungendosi perciò ai 72 licenziamenti di fine dicembre.
Per i dipendenti della Smim scatterà la mobilità, ultimo ammortizzatore sociale prima del licenziamento e diminuita dal 2015 dopo la legge Fornero. A essere colpiti da queste riduzioni sono soprattutto i lavoratori di età uguale o superiore ai 50 anni, per i quali la mobilità verrà garantita per soli 24 mesi (fino a due anni fa se ne assicuravano 48). Una fascia d’età che alla Smim è maggioritaria, lavoratori che avranno inevitabili difficoltà a reinserirsi nel mondo del lavoro, rimanendo allo stesso tempo ancora lontani dall’agognata pensione.
Ma non piange solo l’indotto. All’inizio del 2016 Eni ha annunciato una riduzione d’organico da 550 a 400 lavoratori, così come stabilito dal protocollo d’intesa del 6 novembre 2014, mandando su tutte le furie i sindacati, che hanno parlato di «decisioni unilaterali», senza concordare le modalità e gli assetti organizzativi. Ignazio Giudice, segretario generale della Cgil di Caltanissetta, a Meridionews spiega che «l’Eni, così facendo, mette in discussione la corretta relazione sindacale. Il progetto industriale è chiaro – aggiunge – e va realizzato nei tempi e nei modi previsti». Quel che appare sempre più delineato è che il cane a sei zampe sta perseguendo i propri disegni industriali, ovvero il ridimensionamento (per non dire abbandono) di un sito che, alle attuale condizioni, risulta troppo grande e vetusto. Raffinerie green e trivellazioni appaiono secondarie a quest’obiettivo primario.
In una nota congiunta i sindacati confederali «denunciano la latitanza del governo nazionale» e la mancanza di «volontà politica». Fanno riferimento ai «tre deputati nazionali eletti in provincia di Caltanissetta» (Azzurra Cancelleri, Cardinale e Pagano ndr), ricordano all’Eni e alle ditte dell’indotto che «tra i compiti di ogni impresa c’è anche il ruolo sociale» e sottolineano di essere rimasti soli, «con zero poteri per modificare le leggi attuali». In attesa della data che il governo dovrebbe indicare a breve per la verifica specifica del protocollo d’intesa, Giudice aggiunge qualche ulteriore considerazione. «La crisi è mondiale, a Gela senza il protocollo l’Eni avrebbe chiuso ma la crisi ha fatto emergere un mondo delle imprese fragile». Condizioni in realtà già note, e che lo stesso Giudice denuncia da tempo. Prendendosela soprattutto con la classe politica, incapace di legiferare per garantire continuità lavorativa. «Le opere si avvieranno e la bioraffineria si farà – è il suo parere – ma la sfida sono le aree libere per nuovi insediamenti. Che fa la politica? Siamo indignati anche per il silenzio dei deputati gelesi all’Ars».