Era nata negli anni 90 per il rilancio del territorio. Ma l'esperimento durò poco. Poi il passaggio nelle mani dell'imprenditore catanese Pietro Biondi a cui viene contestata una gestione criminale dei migranti. Ora restano macerie fumanti. Guarda le foto
Gela: l’incendio a Villa Daniela, struttura compromessa Da hotel di lusso a centro d’accoglienza sotto inchiesta
Non è rimasto nulla della struttura che negli anni 90 era nata come «la villa che avrebbe riscattato il territorio». Un incendio, sulle cui cause stanno indagando gli uomini del commissariato di polizia di Gela, ha cancellato quasi del tutto ciò che era rimasto di Villa Daniela, la struttura ricettiva costruita a fine anni 90 a Roccazzelle, frazione balneare di Gela, con i finanziamenti della legge 488 per il rilancio occupazionale e che oggi invece è ridotta ad un cumulo di macerie fumanti.
In mezzo la trasformazione in centro di accoglienza per migranti e ben due inchieste giudiziarie, la prima avviata 15 anni fa dalla Guardia di Finanza che volle vederci chiaro sulla documentazione fiscale che portò all’erogazione del finanziamento per la realizzazione della struttura e la seconda l’anno scorso nella quale la Procura di Gela ipotizzò una mega truffa sul sistema di accoglienza dei migranti.
Nella tarda mattinata di ieri le fiamme, triste epilogo di una struttura sfortunata. Il primo allarme è arrivato intorno alle 11 quando dalle villette vicine hanno visto innalzarsi le prime colonne di fumo nero. Immediato l’intervento dei vigili del fuoco , arrivati sul posto convinti di dover spegnere l’ennesimo incendio di sterpaglie che da settimane si sviluppano nella zona. A bruciare invece era la parte inferiore della struttura, quella che una volta ospitava la grande sala ricevimenti, il rogo si era propagato anche alla hall dell’albergo.
I vigili del fuoco hanno dovuto lavorare per oltre due ore per limitare l’incendio, ma della struttura è rimasto ben poco. Le fiamme hanno pesantemente danneggiato il padiglione est della villa, intaccando le strutture portanti. Danni meno ingenti nella parte superiore dell’ex albergo, completamente annerita dal fumo. I vigili del fuoco completeranno i test di stabilità nelle prossime ore, ma non si esclude che buona parte della struttura possa essere dichiarata inagibile.
Nata come albergo di lusso, con l’obiettivo di attrarre i turisti che si spostavano sul versante est del litorale che collega Gela a Licata, Villa Daniela ha chiuso i battenti dopo appena qualche anno di attività. Da quel momento in poi la struttura è diventata preda di vandali e ladri. Una serie di furti e danneggiamenti continui che indussero la famiglia di imprenditori locali a vendere l’albergo a Pietro Biondi, imprenditore di Catania, attualmente indagato nell’ambito della doppia indagine Blonds e Balla coi Lupi per una presunta truffa su sistema di accoglienza dei migranti, ospitati proprio nella villa di Manfria fino al dicembre scorso.
L’idea dell’imprenditore etneo era quella di costruire all’interno della lussuosa struttura un residence per anziani. Poi però la scelta di investire sull’accoglienza soprattutto dei migranti minori non accompagnati. Un affare di circa 20 milioni di euro che attirò l’attenzione dei magistrati gelesi nel giugno del 2017 a seguito della marcia di protesta che vide un centinaio di migranti, ospiti proprio di Villa Daniela, marciare lungo la statale 115 per manifestare la propria insofferenza per il trattamento loro riservato.
Venne fuori un sistema di lavoratori maltrattati, spesso retribuiti in nero e con un monte orario superiore a quello stabilito, ma anche fatturazioni sospette, violazioni sanitarie e presunte irregolarità nel sistema di fornitura di alimenti e vestiario. Furono trovati anche carne coi vermi, frutta comprata da chi l’aveva rubata e un solo paio di mutande per stagione agli ospiti.
Lo scorso dicembre gli arresti per associazione a delinquere, frode nelle pubbliche forniture e caporalato, poi il sequestro della struttura, affidata ad un amministratore giudiziario. Da quel momento Villa Daniela è tornata ad essere oggetto di raid vandalici, fino al rogo di ieri, per il quale gli inquirenti non escludono la natura dolosa.