Preoccupazione dopo l’intesa sul nuovo piano industriale. Tensione crescente tra gli operai dell’indotto, con gli ammortizzatori sociali in scadenza e a rischio. I dubbi però sono anche della politica locale, che invita il sindaco Fasulo a ridiscutere l'accordo
Gela, l’accordo con l’Eni piace solo a chi l’ha firmato Tra operai arrabbiati e consiglieri comunali dubbiosi
Chi in città aveva pronosticato che i veri problemi sarebbero cominciati all’indomani dell’accordo firmato il 6 novembre al ministero dello Sviluppo Economico si è rivelato un buon profeta. Le 26 pagine del protocollo d’intesa piacciono infatti solo a chi le ha sottoscritte. Ovvero Regione Siciliana, Comune di Gela, sindacati confederali e UGL, Confindustria Centro Sicilia. Al primo consiglio comunale dopo la firma congiunta vengono fuori la rabbia e il malcontento.
Ancora una volta gli operai dell’indotto sono i più a rischio: secondo le cifre ufficiali almeno un migliaio di lavoratori che in questo momento sono fuori dai cancelli della Raffineria non hanno speranze di rientrare, almeno a breve termine. Per giunta, dopo anni di ammortizzatori sociali e di bonifici Inps in perenne ritardo, anche i cuscinetti statali stanno per terminare. È il caso degli operai della Smim impianti, ad esempio, che a dicembre termineranno l’ultimo modello di cassa integrazione possibile. Scenari simili per l’Elettroclima, la Tucam, la Riva e Mariani.
«Niatri mica semmu cani i razza, siamo carne da macello», dice uno dei più arrabbiati agli attoniti consiglieri comunali nella serata di giovedì 13 novembre. Tanto che neanche una sospensione di un’ora ha fatto desistere la protesta. Così il consiglio comunale è stato rinviato a venerdì, con un’altra delegazione di lavoratori presenti. Il sindaco di Gela Angelo Fasulo ha provato ad essere franco come mai fino a ora. «Non ci sono alternative a questo progetto – ha detto rivolgendosi agli operai – la parte più difficile sono i primi sei mesi ma dovete mettervi in testa che è finita quella storia».
Loro però, i lavoratori, non ci stanno. «Voi dovevate aprire gli occhi prima», urla qualcuno. Altri preferiscono raccontare le proprie esperienze. «Per 27 anni ho lavorato allo stabilimento – racconta Giuseppe Faraci – in ogni emergenza, con turni da 14 e a volte 16 ore. Ho cambiato cinque ditte, con contratti sempre diversi. E adesso vengo buttato fuori a calci». Interviene Franco: «Figurarsi che lui era uno dei più politicizzati, sempre vicino alla Cgil, e adesso solo a sentire la parola sindacati gli viene su una rabbia…». Tra chi invoca leggi speciali, chi vorrebbe tornare a lavorare per sentirsi ancora utile e chi è convinto che spetti all’Eni farsi carico dell’indotto e non allo Stato, la domanda è solo una: «E adesso?».
Infine c’è il consiglio comunale, compatto contro l’amministrazione e il presidente regionale Rosario Crocetta. Non per solidarietà agli operai ma perché il consiglio è stato innegabilmente messo ai margini nella costruzione della riconversione della Raffineria. Guido Siragusa, consigliere Udc di solito dalla parte del sindaco, in un comunicato osserva: «Questo accordo sul futuro di Eni in città è circondato da troppe incognite […] il sindaco deve ritornare al ministero e mettere le cose in chiaro».