Foto di Jerry Italia

Gela nella morsa del fuoco: la procura apre un’inchiesta sugli incendi sospetti

È ancora primavera, ma nell’aria c’è già l’odore acre dell’estate peggiore. Non quella del sole e delle spiagge, ma quella del fuoco, della plastica che brucia, dei campi che diventano trappole tossiche. E questa volta, non si tratta solo di allarmi ambientali: la procura di Gela ha aperto un’inchiesta. L’indagine è in corso, a tutto campo. Si cerca di capire se dietro gli incendi che stanno colpendo il territorio ci siano negligenze, responsabilità precise, o – come molti temono – interessi criminali. L’ipotesi dolosa non è esclusa. Si indaga su cause, ritardi, omissioni. E cresce il sospetto che qualcuno, quei fuochi, li abbia voluti.

Il primo rogo è scoppiato dieci giorni fa, in un capannone destinato allo stoccaggio di materiale plastico. Le fiamme lo hanno inghiottito in pochi minuti. Una nube nera, densa, tossica, ha oscurato il cielo sopra Gela per ore, costringendo i residenti a barricarsi in casa. Poi, lunedì scorso, il bis. Stavolta a nord di Settefarine, in un’area privata circondata da sterpaglie. Anche qui, cumuli di plastica accatastati senza alcuna precauzione. Anche qui, un’esplosione di fumo nero, visibile per chilometri. Ancora una volta i vigili del Fuoco in corsa, gli stessi volti provati, la stessa lotta contro il tempo.

Il sindaco di Gela, Terenziano Di Stefano, ha preso posizione: «Siamo profondamente preoccupati per la frequenza e la pericolosità di questi incendi. Intensificheremo i controlli, soprattutto nei depositi abusivi. Non possiamo più tollerare questa situazione». Dopo l’incendio nella zona industriale, l’ARPA Sicilia ha pubblicato i primi rilievi sulla qualità dell’aria. «I valori — ha detto il sindaco — sono rientrati nella norma nelle ore successive, anche grazie al vento che ha spinto la nube lontano dalla città. Ma affidarci al caso ogni volta è inaccettabile».

Nel frattempo, la terra continua a bruciare. Sempre lunedì, un altro incendio è divampato nei pressi del lago Cimia, ai margini del parco naturale Raffo Rosso. Ettari di bosco andati in fumo. L’intervento da terra era impossibile: le fiamme correvano veloci, sospinte dal vento e alimentate dalla vegetazione secca. Due Canadair e un elicottero hanno lavorato per ore, solcando il cielo tra il mare e la collina. In Sicilia, si vive su un equilibrio sottile, sempre più precario. Dove la differenza tra abbandono e reato si dissolve nella cenere. Campi dimenticati, plastica stoccata senza regole, controlli deboli. E una domanda che torna, ogni estate: chi ha interesse a vedere tutto bruciare? Ogni rogo è un pezzo di una storia che si ripete. Ogni nube nera è un segnale che resta inascoltato. Ora tocca alla Procura fare chiarezza. Ma intanto, la ferita si allarga. E l’estate, quella vera, deve ancora cominciare.


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