Da settimane un cartello che segnala il pericolo di crollo accoglie i visitatori che si recano alla Fornace Penna di Scicli. Accanto al cartello un avviso ricorda che il rudere è stato sequestrato dai carabinieri perché rappresenta un concreto pericolo per la pubblica incolumità.
Il sequestro della Mannara del commissario Montalbano è stato disposto dal gip del Tribunale di Ragusa ed è accompagnato da indagini che coinvolgono 21 persone, tra cui i proprietari, che secondo i militari «non hanno provveduto ai necessari lavori di manutenzione e restauro, peraltro più volte sollecitati dalla Soprintendenza». La notizia è stata accolta positivamente dalle associazioni e dai movimenti che chiedono il recupero del rudere di contrada Pisciotto. «L’azione giudiziaria potrebbe finalmente portare all’acquisizione pubblica della Fornace Penna e al successivo recupero», spiega l’architetto Salvatore Di Maria, membro del movimento Salviamo il Pisciotto.
La fabbrica di laterizi fu distrutta da un incendio nel gennaio del 1924 e cadde nell’oblio fino agli anni Ottanta, quando i proprietari ipotizzarono la trasformazione in hotel di lusso. «Ricordo bene quel progetto, lo smontai durante una trasmissione televisiva in cui ero stato invitato insieme ai proprietari e altri ospiti – racconta Di Maria -. Negli ultimi trent’anni, insieme a tanti altri, abbiamo sempre chiesto che la Fornace divenisse pubblica e venisse messa in sicurezza. Ma i passi avanti sono stati pochi».
Il bene vive in un limbo che fino ad oggi l’ha condannata all’immobilità. La Soprintendenza di Ragusa e il Comune di Scicli hanno più volte sollecitato interventi di messa in sicurezza che i proprietari non hanno mai eseguito, inoltre, essendo privata, gli enti pubblici non hanno potuto agire al posto degli eredi. «Il privato è il primo responsabile dalla situazione attuale, ma anche gli enti pubblici hanno responsabilità, comune e Soprintendenza avrebbero dovuto sviluppare progetti e soprattutto vigilare per la pubblica incolumità. La fornace da tempo perde pezzi, per fortuna i crolli non hanno mai colpito persone», aggiunge l’architetto.
La struttura è circondata da una recinzione da tempo divelta e tutto intorno si notano pietre crollate dai muri e dalla grande ciminiera. Nonostante da tempo si verifichino crolli, l’area è molto frequentata da turisti di giorno e da coppiette la sera. «A giudicare dai rifiuti abbandonati intorno alla Fornace pensiamo anche che sia un luogo dove qualcuno si prostituisce – racconta Di Maria -. Purtroppo i rischi per le persone non sono cessati con l’apposizione di un cartello di pericolo crolli, sarebbe opportuno provvedere presto almeno a recintare l’intera area per inibirne l’accesso».
Se i più urgenti provvedimenti dovrebbero tutelare la pubblica incolumità, i successivi dovrebbero salvare la Fornace da altri crolli, ma viste le indagini in corso non si può ipotizzare un iter breve. «Mi auguro, invece, che si possa giungere ad un accordo. I proprietari sono circa 63 e sappiamo che la metà di questi cederebbe la Fornace, a questo punto ci auguriamo che la Soprintendenza l’acquisisca facendo leva sull’inadempienza del privato. Del resto – si augura Di Maria – visto lo stato attuale e i tanti vincoli che la tutelano, non può che essere recuperata e riconsegnata ai cittadini».
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