Formazione, prelievo coatto sull’integrazione: violata norma comunitaria?

La formazione professionale siciliana torna ad ardere. Ad appiccare il fuoco, questa volta, è proprio l’amministrazione regionale, attraverso il prelievo coatto delle somme erogate, negli anni precedenti, a 35 Enti formativi come “integrazione al finanziamento”. Prelievo attuato attraverso una procedura che appare viziata di inefficacia e, per alcuni versi, anche di nullità. Ma andiamo con ordine.

Prima di analizzare gli effetti prodotti dall’ingiunzione fiscale, alcune premesse si rendono utili a chiarimento della questione legata all’integrazione e alla procedura attuata dalla Regione.

Le maggiori somme erogate tra il 2005 e il 2010 a diversi Enti formativi si fondano sul presupposto giuridico contenuto nella legge regionale n. 24 del 6 marzo 1976 e successive modifiche e integrazioni. Infatti, la Regione siciliana, in sede di finanziamento del Piano regionale dell’offerta formativa (Prof), ha assunto l’onere della copertura del costo totale destinato da ciascun Ente beneficiario di sovvenzione per l’erogazione del servizio formativo.

Il maggiore costo che ha fatto nascere l’obbligazione in capo all’amministrazione regionale, rispetto al finanziamento accordato, è quello relativo ai sopravvenuti maggiori oneri previdenziali e retributivi in applicazione degli adeguamenti economici nascenti dai rinnovi del Contratto collettivo di lavoro della categoria.

Una premessa di carattere generale è d’obbligo per affrontare lo spinoso argomento. Non ci sentiamo di sottrarci dal confronto sulle debolezze del Governo regionale, incapace di promuovere una fase di risanamento del settore formativo dopo gli sfasci provocati dal precedente esecutivo condotto dal trio delle meraviglie LAC (Lombardo, Albert, Centorrino). La formazione professionale è divenuta oramai un settore privo di ossatura e senza anima. Un comparto i cui uffici sono stati svuotati di personale competente, con ordini di pagamento bloccati, il cui effetto è quello di avere relegato i lavoratori ad uno stato di povertà economica.

Così come scandaloso è il dovere rilevare il mancato funzionamento della piattaforma Faros che gestisce e certifica gli avanzamenti di spesa delle attività formative finanziate dall’Avviso 20/2011 e che attesta la spesa sostenuta dagli stessi Enti. Un settore desertificato dal Governo regionale guidato dal trio dei “sogni e dei rinvii” CSC (Crocetta, Scilabra, Corsello) perché privato di programmazione, senza concertazione e senza futuro per oltre nove mila lavoratori “perdenti posto”.

In un settore caratterizzato dal caos cosa fa l’amministrazione regionale? Brucia tutte le tappe e incamera, come uno squalo affamato, risorse dagli Enti interessati con un “fare” che desta diverse perplessità.

Per meglio precisare la questione di per sé complessa, riportiamo un caso concreto. Trattasi del recupero coattivo di 1.001.236,74 euro praticato dall’amministrazione regionale nei confronti dell’Associazione per le ricerche nell’Area Mediterranea (Aram) di Messina. Prelievo coatto posto in essere dalla Regione attraverso il decreto del dirigente generale (DDG) n.1526 del 12 aprile 2013, di accertamento in entrata della predetta somma sul Capitolo di spesa 3724, Capo X, del bilancio della Regione siciliana per l’esercizio finanziario 2013. Provvedimento trasmesso alla Ragioneria centrale dell’assessorato regionale Istruzione Formazione professionale che ha provveduto a registrarlo il 18 aprile scorso.

Tutto nasce con la notifica all’Aram dei Decreti dirigenziali di accertamento fiscale eseguiti in applicazione di quanto previsto dagli art. 1 e 2 del regio decreto 14 aprile 1910, n. 639 che disciplina l’ingiunzione fiscale. Norma modificata dall’articolo 7, comma 2 del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito con modificazioni, in legge 12 luglio 2011, n. 106. Si tratta dei decreti n.611 del 27 febbraio 2013 e n.887 del 14 marzo 2013, entrambi registrati alla Ragioneria centrale del competente assessorato il 5 aprile 2013.

Con tale provvedimento accertativo l’amministrazione regionale ha inteso annullare i decreti dirigenziali n. 1911 del 24 dicembre 2007 e n.1116 del 18 giugno 2009 con cui è stato disposto il finanziamento delle integrazioni dei progetti presentati dall’Ente formativo di Messina a valere sul Prof 2007 e 2009.

Cosa non convince del procedimento adottato dall’amministrazione regionale? La norma assegna il termine di trenta giorni dalla notifica del decreto di accertamento, trascorso il quale e in assenza di un ricorso dell’interessato al Tribunale civile, l’amministrazione regionale procede al recupero della somma. Orbene, con il citato decreto dirigenziale n.1526 del 12/04/2013 l’amministrazione regionale ha provveduto a recuperare 1.001.236,74 euro dall’Aram ancor prima del giudizio, e dell’eventuale sospensiva. Peraltro, l’Ente formativo ha già richiesto al Giudice civile, con deposito della relativa istanza avvenuto entro il termine dei 30 giorni, il provvedimento di sospensione dell’atto di accertamento.

A tal riguardo, è opportuno rimarcare che l’articolo 7, primo comma, lettera m) della legge 12 luglio 2011, n. 106, ha introdotto l’attenuazione del principio del «solve et repete». Significa che “In caso di richiesta di sospensione giudiziale degli atti esecutivi, non si procede all’esecuzione fino alla decisione del giudice e comunque fino al centoventesimo giorno”. Quindi il decreto di prelievo coatto (n.1526/2913) si presenta illegittimo, perché la richiamata recentissima previsione normativa esige un comportamento adeguato che l’amministrazione regionale non pare abbia tenuto, atteso che ha proceduto con il Decreto dirigenziale 1526 al prelievo coatto delle somme.

Dall’esame dei documenti segnalatici dall’Aram emergerebbero ulteriori illegittimità compiute dalla pubblica amministrazione regionale nell’iter di formazione del procedimento di maturazione del prelievo coatto. Precisiamo che il procedimento di esecuzione forzata è informato al principio “nulla executio sine titulo” di cui all’art. 474 del Codice di procedura civile. Detta norma al primo comma dispone: “L’esecuzione forzata non può aver luogo che in virtù di un titolo esecutivo per un credito certo, liquido ed esigibile”. Da ciò discende che presupposto fondamentale del procedimento sono l’esistenza di un titolo esecutivo e la certezza, liquidità ed esigibilità del credito da realizzarsi in via esecutiva. Sembrerebbero lesi proprio i presupposti citati da una sequela di azioni amministrative.

Intanto l’amministrazione ha proceduto all’annullamento dei decreti del dirigente generale che, nel ripartire le somme oggetto di finanziamento a ciascun Ente, all’interno del Prof dell’anno in questione, ha assegnato le risorse all’Aram. Stessa cosa non è avvenuta, almeno per quello che emerge dalla documentazione in possesso dalla nostra redazione, per il decreto assessoriale dell’epoca che ha approvato il Piano regionale dell’offerta formativa. Atto di indirizzo politico che ha fatto maturare la certezza del credito da parte dell’Ente di formazione beneficiario di sovvenzioni pubbliche. È illegittimo l’atto anche per via della compensazione attuata dall’amministrazione regionale su somme relative a finanziamenti comunitari, quali sono quelli di cui all’Avviso 20/2011. Compensazione che sarebbe vietata da apposita norma comunitaria.

Infatti il regolamento (CE) n.1083/2006 del Consiglio dell’11 luglio del 2006 introduce il principio dell’integrità dei pagamenti ai beneficiari. All’articolo 80 il Legislatore comunitario ha disposto: “Gli Stati membri si accertano che gli organismi responsabili dei pagamenti assicurino che i beneficiari ricevano l’importo totale del contributo pubblico entro il più breve termine e nella sua integrità. Non si applica nessuna detrazione o trattenuta né alcun onere specifico o di altro genere con effetto equivalente che porti alla riduzione di detti importi per i beneficiari”.

Inoltre il citato decreto n.1526 conterrebbe vizio di legittimità anche per via della mancata registrazione da parte della Corte dei Conti. E poi le somme afferiscono a esercizio finanziari diversi (2007 e 2009) per i quali sarebbe prevista l’emissione di appositi decreti di prelievo coatto per ciascuno degli anni oggetto dell’accertamento.

Dall’esame degli atti, in sintesi, emergerebbero rilievi di illegittimità e nullità del procedimento posto in essere dall’Amministrazione regionale nei riguardi dell’Aram di Messina. È spontaneo chiedersi come mai la Regione siciliana, stante a quanto emerso dalla documentazione esaminata, possa essersi esposta fino a questo punto? Per tutelare chi e che cosa? L’Unione Europea è a conoscenza dei prelievi coatti su somme del Fondo sociale europeo in aperta violazione di norma comunitaria?

Infine, è lecito porsi un altro interrogativo: che conoscenza hanno la Sezione di Controllo e la Procura della Corte dei Conti in provvedimenti assunti dal dipartimento regionale istruzione e Formazione professionale? Domande che meritano approfondimenti a tutti i livelli. Auspichiamo che si possa fare luce sull’ennesima azione politico-amministrativa che pregiudizio ha arrecato ai lavoratori della formazione professionale che si sono visti sottrarre somme a loro destinate.

 

Nota a margine sull’ingiunzione fiscale

Di recente, il Legislatore è intervenuto a modificare sensibilmente la norma a mezzo dall’articolo 7, comma 2 del D.L. 13 maggio 2011, n. 70, convertito con modificazioni, in legge 12 luglio 2011, n. 106, a mente del quale “a decorrere dal 31 dicembre 2012, in deroga alle vigenti disposizioni, la società Equitalia Spa, nonché le società per azioni dalla stessa partecipate ai sensi dell’articolo 3, comma 7, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, e la società Riscossione Sicilia Spa cessano di effettuare le attività di accertamento, liquidazione e riscossione, spontanea e coattiva, delle entrate, tributarie o patrimoniali, dei comuni e delle società da essi partecipate. A decorrere dalla data prevista dalla citata legge, i comuni effettuano la riscossione coattiva delle proprie entrate, anche tributarie sulla base dell’ingiunzione prevista dal testo unico di cui al regio decreto 14 aprile 1910, n. 639, che costituisce titolo esecutivo.

Una netta scelta di campo in favore dell’ingiunzione fiscale. Trattasi di speciale strumento, previsto dagli art. 1 e 2 del regio decreto 14 aprile 1910, n. 639 al fine di consentire una celere riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato e degli altri enti pubblici, che cumula le caratteristiche e gli effetti del decreto ingiuntivo e del precetto, secondo un schema derogatorio dell’ordinario procedimento di riscossione che necessità invece della previa iscrizione a ruolo e della notifica della cartella di pagamento.

Secondo la giurisprudenza, l’ingiunzione fiscale ha natura di atto amministrativo complesso, che non solo ha la funzione di formale accertamento del credito, fondato sul potere della pubblica amministrazione di realizzare coattivamente le proprie pretese, ma anche cumula in sé le caratteristiche di forma e di efficacia di titolo esecutivo e di precetto.

Quando creditore è una pubblica amministrazione, ed in particolare un ente locale, accanto alle regole dettate dal Codice di procedura civile, occorre tener conto di altre norme di natura pubblicistica che presiedono la materia. Il recupero coattivo dei crediti eseguito direttamente dall’ente avviene attraverso una procedura che consta di diversi momenti e vede l’avvio su impulso della stessa amministrazione.

“La riscossione coattiva delle entrate patrimoniali, disciplinata dagli artt. 5 e seguenti del regio decreto 14 aprile 1910 n. 639, si configura come un procedimento di esecuzione forzata, essendo preordinata all’espropriazione dei beni del debitore, come mezzo perché i creditori conseguano quanto è loro dovuto” (Cassazione civile, sezione III, n. 4115 del 6.4.1993). Il processo di esecuzione, infatti, è diretto all’emissione di misure esecutive, volte a soddisfare, anche coattivamente, vale a dire contro la volontà del debitore, la pretesa del creditore (pubblica amministrazione), così consentendogli, nelle forme previste dall’ordinamento giuridico, la realizzazione del suo diritto. La funzione del processo d’esecuzione è l’attuazione materiale coattiva del diritto vantato ed accertato, che si persegue “manu judicis”, sostituendo la volontà dell’obbligato nel compimento di un atto. Il procedimento di esecuzione forzata è informato al principio nulla “executio sine titulo” di cui all’art. 474 Codice di procedura civile, il cui primo comma dispone: “L’esecuzione forzata non può aver luogo che in virtù di un titolo esecutivo per un credito certo, liquido ed esigibile”. Da ciò discende che presupposti fondamentali del procedimento sono:

– esistenza di un titolo esecutivo;

– certezza, liquidità ed esigibilità del credito da realizzarsi in via esecutiva.

A. Quanto al primo presupposto, ci si rifà qui all’ingiunzione amministrativa, atto primo, preliminare, preparatorio e propedeutico a tutta la procedura esecutiva: ai sensi dell’art. 2, comma 1, del r.d. 14.10.1910, n. 639, infatti, “il procedimento di coazione comincia con la ingiunzione, la quale consiste nell’ordine, emesso dal competente ufficio dell’ente creditore, di pagare entro trenta giorni, sotto pena degli atti esecutivi, la somma dovuta”.

B. Con il secondo, la norma delimita l’ambito di applicabilità del procedimento d’ingiunzione, che inerisce esclusivamente a crediti tributari e patrimoniali, di diritto pubblico e di diritto privato:

– certi nella loro esistenza;

– liquidi, cioè determinati nel loro ammontare;

– esigibili, vale a dire non sottoposti a condizioni o a termini.

A questo proposito, valga citare:

– Cassazione Civile, sezione I, n. 8642 del 2.8.1995: “Lo Stato e gli altri enti pubblici possono avvalersi dello speciale procedimento ingiunzionale previsto dal r.d. 14 aprile 1910, n. 639, sulla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato, non solo per la riscossione dei tributi o, in genere, delle entrate di diritto pubblico, ma anche per le entrate di diritto privato, ove si tratti di crediti certi, liquidi ed esigibili, poiché il concetto di entrata patrimoniale ha un’accezione molto vasta, che si estende anche ai proventi del demanio pubblico e dei pubblici servizi”;

– Cassazione civile, sez. I, n. 13587 del 22.12.1992: “Lo speciale procedimento ingiunzionale disciplinato dal r.d. 14 aprile 1910 n. 639, applicabile non solo per le entrate strettamente di diritto pubblico, ma anche per quelle di diritto privato, trovando il suo fondamento nel potere di autoaccertamento della pubblica amministrazione, esige come suo fondamentale presupposto che il credito in base al quale viene emesso l’ordine di pagare la somma dovuta sia certo, liquido ed esigibile, senza alcun potere di determinazione unilaterale dell’amministrazione, dovendo la sussistenza del credito, la sua determinazione quantitativa e le sue condizioni di esigibilità derivare da fonti, da fatti e da parametri obiettivi e predeterminati e rimanendo all’amministrazione un mero potere di accertamento dei detti elementi ai fini della formazione del titolo esecutivo”.

 

 


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