Ha finito ieri la sua protesta, dopo quindici giorni legato al cancello dell'assessorato regionale Formazione, a Palermo. Giuseppe Raddusa, operatore tecnico dell'Istituto etneo Aram Iefp, attende da 27 mesi i pagamenti per il suo lavoro. «Sono 30mila euro che la Regione deve all'ente. Tra questi ci sono i miei soldi: la pratica era bloccata perché agli uffici hanno troppo lavoro arretrato», afferma l'uomo
Formazione, la protesta di Raddusa «Senza lo stipendio, tornerò in catene»
Non riceve lo stipendio «ormai da ventisette mesi». Lui è Giuseppe Raddusa, operatore tecnico uno dei tre dipendenti dell’ente di formazione Aram Iefp di Catania. La sua protesta è partita lo scorso 16 giugno, quando si è incatenato ai cancelli dell’assessorato alla Formazione di Palermo. Ieri, dopo due settimane, ha abbandonato la sua protesta: «In questi giorni ho parlato con molti dirigenti, e mi hanno assicurato che a breve l’ente riceverà i 30mila euro che aspettiamo. Una parte dei quali sono i miei stipendi arretrati», spiega Raddusa. L’uomo, 42 anni, lavora da undici per l’ente che organizza dei corsi per parrucchiere ed estetista a cui accedono i ragazzi dopo la scuola dell’obbligo. Attualmente, tre le due sedi di Catania e Ragusa, sono circa cento i ragazzi che stanno seguendole lezioni.
«La giustificazione che mi hanno dato dagli uffici è che la nostra pratica era in coda a tantissime altre – prosegue Raddusa – accumulate negli uffici dell’assessorato per mancanza di personale. Ma, se i soldi non arriveranno entro la prossima settimana, riprenderò la protesta: sono poche migliaia di euro, ma è il mio unico lavoro. E per me un giorno in più è come se fosse un anno», assicura l’uomo. La responsabilità dei ritardi, però, non la imputa solo alla Regione. «L’ente per il quale lavoro ha inviato la documentazione solo quattro mesi e mezzo fa – spiega – perché nei mesi precedenti non era in grado di produrre la fideiussione bancaria necessaria per la pratica. Risolto questo problema, però, dalla Regione nessuno l’aveva presa in considerazione. E per questo mi sono incatenato, mettendoci la faccia», conclude Giuseppe Raddusa.