Floppus maximum et mirabile

Le risposte di Mascioni ai vostri quesiti sono di per sé inappuntabili: formalmente si direbbe che abbiano proceduto con la massima correttezza nel rilevare pressioni, numero delle canne e misure dei mantici.

Tuttavia, rimane qualche perplessità. Quando si restaura un organo, se le condizioni dello strumento lo permettono, vengono rilevati pressione, sonorità, temperamento, corista e accordatura esistenti prima dello smontaggio, per avere un termine di paragone. Naturalmente non è detto che a restauro finito questi parametri debbano essere gli stessi di prima: potrebbero anche cambiare, se il restauro portasse a scoprire che lo strumento ha subito manomissioni nel corso dei secoli.

In questo caso tale operazione era ovviamente impraticabile, dato lo stato di totale degrado in cui versava l’organo: tutti questi parametri dunque sono stati dedotti a posteriori. L’operazione di per sé non è una cosa impossibile, perché nei restauri di organi il caso di strumenti che all’inizio dei lavori sono ormai insuonabili è tutt’altro che raro. Tuttavia, l’assenza di gran parte delle canne evidentemente conferisce a qualsiasi operazione di restauro una certa dose di aleatorietà. Anche se si aveva un campione rappresentativo di tutti i registri che consentiva di ricostruire quelle mancanti, è pur vero che un artista geniale come Donato del Piano potrebbe avere adottato accorgimenti tecnici particolari per modellare il suono delle canne in una data sezione del registro, ad esempio per enfatizzare gli acuti. Se di un dato registro mancano proprio quelli, le canne dei bassi difficilmente potranno dirci se negli acuti c’era qualche stratagemma simile. Un altro accorgimento adottato dagli organari consiste in dei forellini di sfiato posti sul retro delle canne per regolare la pressione e impedire che ottavizzino: sarebbe interessante sapere se nelle canne superstiti ne sono stati trovati, o se per caso non siano stati malauguratamente coperti nel precedente intervento di restauro. Come sarebbe interessante sapere quanto il degrado delle canne conservate ha inciso sulla loro “leggibilità”, cioè sulla possibilità di ristabilire pressione ottimale, accordatura, rapporto di bocca, larghezza del foro basale e ogni altro elemento che può influire sull’emissione del suono.

A mio giudizio sarebbe stato utile verificare la pressione anche prima del restauro, montando sull’organo di prova qualcuna delle canne superstiti in uno stato di conservazione un po’ migliore che la mettesse in grado di suonare (qualcuna ci sarà pure stata). Non so se questo sia stato fatto o se fosse tecnicamente possibile farlo, ma se possibile andava certamente fatto. La pressione rilevata dopo il restauro coincide, dice Mascioni, con quella derivante dal collocamento dei pesi sui mantici e quella rilevata a suo tempo dal Sangiorgio: peraltro a) non sappiamo se i pesi ritrovati siano tutti quelli originari o se ne manca qualcuno b) non sappiamo se, ai tempi di Sangiorgio e prima del restauro dei Polizzi, lo strumento avesse già subito qualche alterazione tale da comprometterne il rendimento: non è un caso che l’inaugurazione del 1929 fu un mezzo fallimento, perché anche allora ci fu chi si lamentò che l’organo non si sentiva. Questo potrebbe avvalorare teoricamente l’ipotesi che il Del Piano l’avesse effettivamente concepito così: ma personalmente la cosa non mi convince. La requisizione della chiesa e del monastero a seguito delle leggi eversive di certo non dovette giovare alla salvaguardia dello strumento, anche se nel 1925 le canne erano ancora tutte conservate.

Comunque sia, rimane il fatto che l’organo così com’è ora difficilmente avrebbe prodotto tale impressione sulla fantasia di uno come Goethe (abituato a sentire gli organi tedeschi, che “sparano” a 80 mm di colonna d’acqua e più!) e di tanti altri. Potremmo citare anche De Roberto (uno scrittore verista s’inventa forse frottole?), potremmo citare Seume, che nel 1802 diceva:

Am meistens tut man sich auf die Orgel zugute, die vor ungefähr zwanzig Jahren von Don Donato del Piano gebauet worden ist. Er hat auch eine in Sankt Martin bei Palermo gebauet; aber diese hier soll, wie die Katanier behaupten, weit vorzüglicher sein. Man hatte die wirklich ausgezeichnete Humanität, sie für einige Freunde nach dem Gottesdienste noch lange spielen zu lassen; und ich glaube selbst in Rom keine bessere gehört zu haben. Schwerlich findet man eine größere Stärke, Reinheit und Verschiedenheit. Einige kleine Spielwerke für die Mönche sind freilich dabei, die durchaus alle Instrumente in einem einzigen haben wollen: aber das Echo ist wirklich ein Meisterstück; ich habe es noch in keiner Musik so magisch gehört.

“Soprattutto si mena vanto dell’organo, che è stato costruito circa vent’anni fa da Donato del Piano. Egli ne ha costruito uno anche a San Martino vicino Palermo: ma questo qui, come affermano i Catanesi, dev’essere di gran lunga superiore. Ebbero la gentilezza davvero speciale di farlo suonare ancora a lungo dopo la liturgia per alcuni amici: e io credo di non averne udito alcuno migliore nella stessa Roma. Difficilmente si trova una maggiore potenza, purezza e varietà. Ci sono alcuni piccoli meccanismi automatici [la cosiddetta uccelliera, un organetto a manovella con melodie preimpostate: ndr] per i monaci, che vogliono avere tutti gli strumenti in uno: ma l’Eco è davvero un capolavoro: in nessuna musica l’ho udito con tanta magia” (J. G. Seume, Spaziergang nach Syrakus, II teil)

Seume, anche lui tedesco, anche lui abituato agli organi di Arp Schnitger e Silbermann, ammira la “potenza” dello strumento, che evidentemente doveva essere per il suo orecchio quantomeno non inferiore! Com’è possibile che in tutto l’Ottocento non si ode che un coro concorde di testimonianze disparate e indipendenti, tutti testimoni oculari, esaltanti la potenza e bellezza dello strumento? I nostri antenati avevano orecchie così diverse dalle nostre? Posso dire di più: io ho avuto modo di riascoltare l’organo qualche giorno dopo il concerto d’inaugurazione, con la chiesa vuota, dunque in condizioni acustiche decisamente migliori.

Un suono remoto e come di un fantasma esangue che geme dall’oltretomba, come quello dei Sepolcri foscoliani che «chiede la venal prece agli eredi/dal santuario»; e per giunta prodotto da tutti i registri dell’organo maggiore, figurarsi quelli minori! Sono pure salito in cantoria, dunque così vicino che più vicino non si può: stessa impressione deludente. La varietà timbrica appariva come spenta, come la ricchezza cromatica in una vecchia foto ingiallita. Certi registri, poi, si udivano a fatica persino dalla cantoria (mi domando che cosa si sarebbe sentito giù): il che è tutto dire…la dolcezza, per essere apprezzata, deve pur farsi sentire in qualche modo!

Se questo era l’organo di Donato del Piano, allora dovrebbe chiamarsi non “Opus maximum” ma “Floppus maximum et mirabile”, perché un organo che non si sente è un fallimento. Ma mi domando: gli altri organi dello stesso costruttore (a Piazza Armerina, Palermo, Vittoria, Carlentini, Malta…) suonano tutti così? Personalmente non ne ho mai sentiti, ma spero di poterlo fare quanto prima. In ogni caso, anch’io sarò in prima fila ai prossimi concerti, sperando di sentire qualcosa di meglio.

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