Fini, ascesa e caduta di un leader

“Sole che sorgi libero e giocondo, sul colle nostro i tuoi cavalli doma, tu non vedrai nessuna cosa al mondo maggior di Roma, maggior di Roma”, recitava l’Inno a Roma che concludeva i comizi elettorali dell’ex Msi e di An. Poi, d’improvviso arriva il contrordine, di Fini. “Sapete che vi dico? Per una poltrona possiamo allearci con la Lega”, che invece grida Roma ladrona”.

Quanta acqua è passata sotto i ponti da quelle nostalgiche note che rievocavano il mito della romanità e dal magico risultato – del 15, 7% – ottenuto da Alleanza nazionale nel 1996 (il migliore nella storia del partito guidato dall’ex presidente della Camera dei deputati) , all’indomani di Fiuggi. Fini, l’enfant prodige, “l’angelo prediletto” di Almirante è caduto dall’Eden di Montecitorio all’inferno dello 0,4%.

Annientato, umiliato-politicamente s’intende- il leader di An, cofondatore del Pdl, cacciato da Berlusconi, e fondatore orgoglioso (ma subito pentito) di Futuro e libertà paga l’amaro fio di scelte forse azzardate, non ultima la sponsorizzazione del partito di Monti. Che, ricordiamo, fra le tante tasse imposte agli italiani ha incluso pure l’Imu, forse la più odiosa visto che il 63% delle imprese del Paese si sono dovute indebitare con le banche per pagarla.

Ma cerchiamo ora di ripercorrere le tappe di un partito che, vuoi o non vuoi, ha contribuito alla storia d’Italia. Siamo nel 1987, Fini, già segretario del Fronte della Gioventù, è eletto a 35 anni segretario del Msi-Dn. Il partito, tra alti e bassi, viaggia attorno al 6% . Troppo poco per chi, come lui, ha forti ambizioni. Quindi la svolta decisiva: il 27 gennaio del 1995 Fini fonda Alleanza nazionale, che segna una radicale trasformazione del Msi, assumendo la carica di Presidente di Alleanza Nazionale, al posto del precedente coordinatore Adolfo Urso.

Decisiva la distanza netta dal fascismo. Rauti, Erra, Staiti e pochi altri vanno via dal partito per fondare il Movimento Sociale-Fiamma Tricolore. E qui la prima lacerazione del partito. An fa la sua strada e tutto sommato ottiene buoni risultati. Nel 2006 raggiunge alla Camera addirittura il 12,3%. Ma ancora non basta. Serve una grossa alleanza che porti a casa i numeri, quelli grossi. (a destra, foto di Giorgio Almirante tratta da wikipedia,it) 

L’opportunità si offre nel marzo 2009. Alleanza Nazionale viene sciolta. La fiamma della destra si è spenta. A Roma prende corpo definitivamente il Pdl. Nasce un grosso contenitore politico, dove di destra c’è veramente poco. Se consideriamo che, a livello europeo, il più grande partito italiano confluirà, o dovrebbe confluire, nel Ppe, dobbiamo convenire che l’anima della destra nazionale di almirantiana memoria scompare definitivamente. Il nuovo partito dovrà dal primo momento organizzarsi per guardare al futuro: un futuro immaginato anche senza la presenza ingombrante di Berlusconi.

L’ex Premier, oltre ad esserne stato l’ideatore, è l’assoluto collante di un movimento popolare dalle venature populiste, diventato assoluta e dominante forza politica e partitica. I leader di An affermano che il Pdl è il naturale traguardo di tutte le forze moderate di destra del Paese. Ma sarebbe nata questa forza, senza la presenza di Berlusconi? Siamo sicuri che tutti gli elettori di destra si sentano emotivamente coinvolti in questo movimento moderato?

Si tende a sottolineare che il Pdl sia l’attuazione delle vecchie idee di Tatarelliana memoria. Un tempo, però, il Movimento Sociale, a tutti i costi, doveva smussare la sua dura corteccia nazionalista per cercare di uscire da un volontario oscurantismo separatista, per diventare un “normale” soggetto politico, capace di interloquire con gli altri partiti. Erano i tempi della Prima Repubblica, caratterizzati dal dominio del penta-partito. Poi Fiuggi, nascita di An. La destra diventa forza moderna ma sicuramente non moderata. (a sinistra, foto tratta da ladestrafiuggi.myblog.it)

Abbandona i suoi scheletri nell’armadio ma non perde la sua identità. Con la nascita ufficiale del Pdl, o meglio, con la fine di An, gli esponenti di quella che fu la spina dorsale della destra italiana siedono allo stesso tavolo con gli ex democristiani, socialisti, liberali, repubblicani. Per molti l’utopia si realizza. Prende corpo e muove i suoi primi passi un grosso soggetto politico, attrattore di voti, consenso, rappresentatività nazional-popolare, tenuto insieme nelle sue diversità dalla leadership indiscussa e incontrastata del suo stratega: Berlusconi.

Sicuramente, però, non si potrà più parlare di destra in Italia. Ma già nel luglio 2009 si riaccende la tensione con i vertici del Pdl, a cui Fini contesta la linea sui temi della giustizia e della legalità e accusa di appiattirsi troppo sui temi della Lega, rinunciando al ruolo di protagonista dell’agenda governativa.

Il 29 luglio 2010 un documento votato dalla maggioranza dei componenti dell’ufficio di presidenza del Pdl, ad eccezione dei tre esponenti finiani, sfiducia il presidente della Camera decretandone, di fatto, l’espulsione dal partito che aveva contribuito a fondare, e sancisce la rottura tra Fini e Berlusconi, che afferma: “I comportamenti di Fini sono incompatibili con i valori del Pdl e con i nostri elettori. Viene quindi meno la fiducia anche per il suo ruolo di garante come presidente della Camera”.

Il giorno seguente Fini annuncia che, essendo stato di fatto espulso dal partito, andrà a creare un nuovo gruppo parlamentare, denominato Futuro e Libertà per l’Italia, al quale aderiscono 34 deputati e 10 senatori uscenti da Il Popolo della Libertà, così smentendo alcuni ex colonnelli di Alleanza Nazionale (La Russa e Gasparri), che avevano garantito a Berlusconi che Fini non sarebbe mai stato in grado di costituire gruppi autonomi.

Nel settembre 2010, dopo un’estate di aspre polemiche tra il Pdl e il gruppo dei finiani, accompagnate da un’accesa campagna di stampa guidata dal Giornale di Vittorio Feltri, Fini tiene un lungo intervento nel corso della Festa Tricolore di Mirabello. Il Presidente della Camera ribadisce il suo sostegno al governo Berlusconi, ma sancisce, di fatto, la fine dell’esperienza rappresentata dal Pdl; rivendica quindi il diritto ad esprimere il dissenso suo e del suo gruppo all’interno della maggioranza e l’importanza di non appiattirsi sulla Lega su molte questioni e soprattutto in materia di federalismo; prende poi apertamente le distanze dalla politica economica del Governo in materia di giustizia e di legalità. Quindi, alla ripresa dei lavori parlamentari, lascia il gruppo parlamentare del Pdl e aderisce al gruppo di Futuro e Libertà.

E’ il 15 novembre 2010, quando la delegazione finiana abbandona il Governo. La decisione in dicembre di votare una mozione di sfiducia verso il Governo Berlusconi, poi fallita, provoca il dissenso e la fuoriuscita da Fli da parte di Silvano Moffa, da sempre considerato un fedelissimo di Fini.

L’anno dopo, in seguito alla caduta del Governo avvenuta nel novembre 2011, insieme al cosiddetto Terzo polo di cui Fli è entrato a far parte, Fini si schiera a favore dell’insediamento del nuovo Governo Monti, continuando ad appoggiarlo anche in vista delle elezioni di febbraio, auspicando “una grande lista civica nazionale, una grande lista per l’Italia che chiami a raccolta le energie sane del Paese senza personalismi”.

Evidentemente, la grande lista civica fatta da Monti, Fini e Casini non è riuscita nell’intento sperato. Ed è andata diversamente. Il sogno di Fini di affrancarsi dalla ruvida comunità di provenienza, infilandosi il doppiopetto montiano è svanito. Sognava- ha detto- che gli elettori lo premiassero un po’ per il coraggio mostrato quando gridò a Berlusconi: “Che fa, mi cacci?”. E invece gli lettori non se lo sono filato. Anche il Professore Monti non ha fatto una grande figura. Ma dei tre alleati – gli altri due, ovviamente, sono Fini e Casini – è l’unico a definirsi “soddisfatto” del risultato”. Contento lui…

 


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