Quando ieri la notizia è stata pubblicata sui siti d’informazione più di qualcuno non voleva credere a quello che stava leggendo. Un ragazzo ha ucciso la sua fidanzata, ha confessato ed è stato condannato all’ergastolo, sia in primo grado sia in Appello. La Corte di Cassazione, però, accoglie il ricorso della difesa del ragazzo, annulla […]
Foto del profilo Facebook di Lorena Quaranta
Femminicidio Quaranta, le reazioni dopo l’annullamento dell’ergastolo. L’avvocato della famiglia: «Un precedente pericoloso»
Quando ieri la notizia è stata pubblicata sui siti d’informazione più di qualcuno non voleva credere a quello che stava leggendo. Un ragazzo ha ucciso la sua fidanzata, ha confessato ed è stato condannato all’ergastolo, sia in primo grado sia in Appello. La Corte di Cassazione, però, accoglie il ricorso della difesa del ragazzo, annulla la condanna, la rimanda indietro e invita coloro che devono giudicare a riflettere sulla possibilità di valutare per il giovane le attenuanti generiche; questo perché il femminicidio si è verificato in piena pandemia, elemento che – secondo la Cassazione – potrebbero aver inciso sullo stato d’animo del giovane. La vicenda è quella di Lorena Quaranta, la studentessa di Medicina che il 31 marzo 2020 è stata uccisa da Antonio De Pace, con il quale all’epoca aveva una relazione. Quaranta – originaria di Favara, in provincia di Agrigento – fu strangolata dal suo fidanzato in una villetta di Furci Siculo, in provincia di Messina. Il femminicidio avvenne nella prima fase della pandemia di Covid-19 ed è proprio questo elemento che la Cassazione ha considerato per decidere di annullare l’ergastolo.
Secondo i giudici, l’emergenza e le restrizioni per la pandemia potrebbero, appunto, aver inciso sullo stato d’animo di De Pace. «Deve stimarsi – si legge nelle motivazioni della sentenza – che i giudici di merito non abbiano compiutamente verificato se, data la specificità del contesto, possa, e in quale misura, ascriversi all’imputato di non avere efficacemente tentato di contrastare lo stato di angoscia del quale era preda e, parallelamente, se la fonte del disagio, evidentemente rappresentata dal sopraggiungere dell’emergenza pandemica con tutto ciò che essa ha determinato sulla vita di ciascuno e, quindi, anche dei protagonisti della vicenda, e, ancor più, la contingente difficoltà di porvi rimedio, costituiscano fattori incidenti sulla misura della responsabilità penale». Motivazioni della sentenza che stanno facendo discutere gli ambienti della giurisprudenza, della politica e della società civile. «La famiglia è rimasta abbastanza basita ed è allarmata da questa decisione», dice a MeridioNews Giuseppe Barba, avvocato della famiglia Quaranta.
«È una motivazione che suscita scalpore – continua il legale – è giurisprudenza creativa». Barba sottolinea che «la sentenza della Cassazione si discosta dal contenuto di entrambe le sentenze di merito pronunciate dalle corti di Assise di Messina». L’avvocato sostiene che «la Corte di Cassazione si sia affascinata a questa componente così emotiva, ansiosa, che è stata descritta dai motivi di ricorso della difesa» di De Pace, «però è assolutamente inspiegabile andare ad ancorare questa decisione al fatto che il Coronavirus può essere un elemento meritevole di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche». Barba denuncia un «comportamento processuale assolutamente silente» e torna su un tema che nelle settimane successive al femminicidio ha fatto discutere molto: il presunto tentativo di suicidio di De Pace; presunto perché le corti dei primi due gradi di giudizio non hanno creduto a quanto dichiarato dalla difesa del ragazzo.
Parliamo di «un doppio tentativo mal riuscito di porre in essere attività di suicidio», dice il legale, perché – è la sua tesi – «un infermiere specializzato, uno studente di Medicina e Odontoiatria sa bene come tagliarsi le vene, se vuole realmente suicidarsi», dice Barba senza molti giri di parole. «Un ragazzo – continua – che qualche ora prima dell’uccisione di Lorena ha trascorso, in piena pandemia – quindi fuori dal domicilio e trasgredendo le regole ferree di quel periodo – la notte con un suo amico a giocare alla Play Station». Barba si sofferma su questo punto, perché durante il primo interrogatorio De Pace ha detto al magistrato «l’ho uccisa perché mi aveva trasmesso il Coronavirus».
Secondo l’avvocato della famiglia Quaranta, «se c’è una forte componente ansiosa e uno stato di angoscia, non dev’essere limitato al gesto che ha posto in essere (l’uccisione della ragazza, ndr), ma doveva essere una componente soggettiva, psicologica, che doveva avere un ragionevole lasso di tempo da considerarsi». In pratica, dice Barba al nostro giornale, se De Pace viveva davvero questo stato d’ansia e di preoccupazione in relazione alla possibilità di essere contagiato, avrebbe dovuto rispettare le regole che in quel periodo servivano a limitare i contagi. «Lui – continua l’avvocato – aveva un atteggiamento maniacale nei confronti dei pazienti che andava a visitare e anche nei confronti di Lorena, perché aveva la fobia di essere contagiato, però nella realtà faceva tutt’altro. E questo è un dato che è emerso processualmente – sottolinea Barba – fa parte del contenuto delle sentenze, quindi non possiamo non tenerne conto».
L’avvocato della famiglia Quaranta riferisce che questo «dato significativo è stato riconosciuto da autorevoli periti di fama nazionale: la forte componente ansiosa non può durare trenta secondi. In quel periodo – continua il legale – gran parte delle persone nel mondo poteva avere una forte componente ansiosa, perché nessuno di noi sapeva cosa ci aspettava, ma questo non autorizzava nessuno a uccidere la compagna o la moglie». Ma la decisione della Cassazione porta a considerare un altro elemento importante e ad aprire un’altra parentesi, più legale che relativa alla cronaca, più tecnica che non legata al racconto di quello che è successo in questo caso: la creazione del precedente.
«Il pericolo di creare un precedente c’è. Da un lato abbiamo il legislatore (il Parlamento, ndr), che con la legge nota come Codice Rosso pone in materia di femminicidio una riforma abbastanza rigorosa – soprattutto in termini di prevenzione – e poi abbiamo magari la Cassazione che se ne esce con una sentenza del genere». Codice Rosso è il nome informale che è stato dato alla legge 69 del 2019, che si propone di rafforzare la tutela delle persone vittime di violenza, di maltrattamenti e di atti persecutori. «Delle due l’una – dice Barba – o facciamo una riforma totale della giustizia, o dobbiamo renderci conto che c’è qualcosa che non va. Con questa sentenza – continua il legale – la Cassazione non aiuta le vittime, anzi in qualche modo dà una sorta di placet (approvazione, ndr) a chi vuole porre in essere queste condotte violente, gravi. Queste persone – spiega l’avvocato – potrebbero dire “vabbè, tanto poi se hai una componente emotiva, se sei ansioso, c’è un precedente che ci aiuta“, perché c’è una sentenza che in qualche modo ha riconosciuto la possibilità di avere un trattamento sanzionatorio più clemente rispetto alla rigidità prevista dalla norma».
Il timore è che l’eventuale precedente potrebbe avere effetto anche su casi relativi ad altri reati violenti. «Si pensi ai reati di maltrattamenti in famiglia – dice Barba – allo stalking e a tutti i reati con violenze sulle persone; reati abbastanza allarmanti, delitti importanti previsti dal nostro sistema». Intanto, però, la questione è capire se Antonio De Pace si vedrà riconosciute le attenuanti generiche per il femminicidio di Lorena Quaranta, ma anche calcolare i tempi che serviranno per conoscere il prossimo passaggio di questa storia. «I tempi – dice l’avvocato della famiglia Quaranta – potrebbero essere quelli di un giudizio di rinvio da celebrarsi, credo, nella prima metà di ottobre». Il ‘giudizio di rinvio’ si ha quando la Cassazione, accogliendo il ricorso, annulla la sentenza impugnata e ritiene che non ci siano i presupposti per poter decidere essa stessa nel merito della questione.
Ma in concreto cosa possiamo aspettarci dal prossimo pronunciamento? «Dopo la notizia diffusa ieri ci possiamo aspettare di tutto», dice Barba. «Le attenuanti generiche – continua il legale – potrebbero annullare la pena dell’ergastolo e far diminuire la pena fino ad arrivare a una condanna che potrebbe andare dai 20 ai 26 anni; questo – spiega l’avvocato – dipende anche dal bilanciamento che sarà fatto tra attenuanti e aggravanti, o comunque da che tipo di forbice utilizzeranno i giudici nel riconoscere questo tipo di attenuanti: se riconoscerle nel massimo o nel minimo rispetto alla valutazione globale del fatto in sé».
«Noi – dice Barba – cercheremo di essere rigidissimi e di far rispettare le sentenze di merito, non perché sono a noi favorevoli, ma perché sono state scritte da magistrati che hanno vissuto i processi e in diretta appreso le testimonianze. Questi magistrati – dice il legale della famiglia Quaranta – dopo una lunghissima istruttoria dibattimentale si sono resi conto di quello che c’è all’interno del processo. Quindi – conclude Barba – sulla base di quello che c’è, cercheremo a tutti i costi di colmare eventuali lacune che potrebbero essere presenti nella sentenza annullata dalla Cassazione e comunque motivare meglio l’insussistenza di presupposti e fare confermare la sentenza di condanna alla pena dell’ergastolo».