Anni di lettere, verbali e segnalazioni ufficiali ridotte quasi ad ordinaria amministrazione. Nel processo per disastro ambientale e discarica non autorizzata all'interno dei locali dell'edificio 2 della Cittadella è ancora il turno dei teste convocati dai legali degli otto imputati. Tra chi sostiene di non aver mai sofferto alcun problema a chi ricorda poco degli anni più controversi del laboratorio dei veleni
Farmacia, sospetti e paure sminuiti Continuano le testimonianze delle difese
Udienza rapida quella di ieri nel processo per disastro ambientale e discarica non autorizzata all’interno dei locali dell’ex facoltà di Farmacia di Catania. Il procedimento ha raggiunto la fase nella quale sono chiamati a testimoniare i teste delle difese degli otto imputati; oggi hanno fatto il proprio ingresso in Tribunale quelle che avrebbero dovuto essere delle voci importanti per cercare di capire la situazione all’interno dell’edificio 2 della Cittadella, ma che si sono rivelate confuse e a tratti contraddittorie. Testimonianze nervose e contrastanti, che ricordano quelle della docente Loredana Salerno e dell’impiegata amministrativa Anna Maria Resi. Lettere firmate all’unanimità, documenti nei quali si chiedono con urgenza interventi, fastidi descritti come insopportabili. Tutto viene ridotto quasi ad ordinaria amministrazione, anni di carteggi ufficiali vengono incredibilmente sminuiti.
La prima a deporre è Domenica Duscio, ex medico del lavoro in servizio all’Università e in pensione dal 2005. E’ sua la firma sul documento che nell’ottobre 2003 certifica l’assenza dei pericoli all’interno della struttura incriminata e stabilisce «un rischio chimico moderato». La relazione è redatta da Marcello Bellia, all’epoca componente della commissione sicurezza e per questo imputato nel processo. Come sottolinea il pubblico ministero Lucio Setola, le comunicazioni ufficiali riguardanti odori sospetti e situazioni anomale iniziano dal 1996, ma nessuna segnalazione è giunta alle orecchie dell’ex medico né tantomeno Bellia fa cenno di problemi durante la stesura del lavoro firmato da Duscio.
Poco utile – contrariamente alle aspettative – è anche la deposizione di Annamaria Panico, attuale presidente del corso di laurea in Tossicologia dell’ambiente. Il suo nome figura tra quelli elencati nel memoriale di Emanuele Patanè, il dottorando morto per un tumore ai polmoni nel 2003 la cui testimonianza postuma è alla base della vicenda legata all’edificio 2. Secondo il giovane, anche la docente avrebbe avuto problemi di salute all’interno del cosiddetto laboratorio dei veleni. Ma Panico, riguardo agli odori sospetti che si sentivano nei corridoi, si limita a spiegare come le sensazioni olfattive siano estremamente soggettive. Mettendo anche in risalto le differenti percezioni tra chi abitualmente ha a che fare con esperimenti e affini (come, ad esempio, un docente) e chi no (il personale tecnico-amministrativo).
Nemmeno la testimonianza di Mariangela Sanfilippo permette di fare luce sui molti punti oscuri della vicenda. Iscritta alla facoltà di Farmacia, tra il 2004 e il 2006 è rappresentante dei dottorandi. «Ci sono state un po’ di lamentele, alcuni avevano accusato problemi», riconosce mostrandosi però quasi restia ad aggiungere altro. Difficile per la donna stabilire anche approssimativamente il numero di persone che mostravano insofferenza per i fastidi. Eppure, nel periodo nel quale era in carica, i laboratori vengono chiusi per una settimana, proprio per accertare in maniera più approfondita cosa non andasse.
L’udienza si è vivacizzata solo nel corso dell’interrogatorio di Orazio Prezzavento, docente di Analisi dei medicinali. Dagli anni ’80 ad oggi, il suo percorso – sia come studente che come professore – si è svolto quasi ininterrottamente all’interno della Cittadella universitaria catanese. Prima di ottenere la cattedra, dal 1997 a 2005, è ricercatore e fa da assistente ad uno degli imputati, l’ex direttore del dipartimento di Scienze farmaceutiche Franco Vittorio. Partecipa quindi alle riunioni nelle quali si discute delle problematiche e delle possibili soluzioni e firma anche i verbali conclusivi. Il dialogo con il pm Setola si accende sulla definizione data da Prezzavento all’espressione «esalazioni irritanti», presente in alcuni documenti. Per il docente, «non lo erano in senso stretto, erano fastidiose» e suscita qualche perplessità anche nel collegio giudicante quando si offre di cercare la definizione di «irritante» in un piccolo manuale che ha con sé. «Un professore ha bisogno di leggerla in un libriccino?», chiede provocatoriamente l’accusa. Secondo il teste, si potrebbe parlare di irritazione nel caso di un’esposizione per un lungo periodo, mentre i fastidi non erano sempre avvertiti. «Ma qua parliamo di una situazione che sarebbe andata avanti da anni», fa notare il presidente Ignazia Barbarino.
Il testimone racconta di non aver mai visto esalazioni né di aver avuto problemi e sottolinea l’impegno di Vittorio nel ricordare costantemente a tutti di osservare le corrette norme di trattamento e smaltimento delle sostanze utilizzate. Secondo Prezzavento, a provare fastidi erano in maggioranza i membri del personale tecnico-amministrativo, i docenti li avvisavano in maniera minore. Quando il pubblico ministero gli sottopone un documento nel quale si chiede al rettore e ai vertici dell’Ateneo di intervenire, una lettera sottoscritta all’unanimità dai membri del dipartimento, Orazio Prezzavento precisa: «Personalmente non ho mai sentito nulla». La discussione si sposta quindi sul motivo per il quale il teste non ha mai fatto notare la propria opinione contraria. «In quelle riunioni faceva solo numero?», chiede in uno dei suoi rari interventi al microfono il giudice a latere Giancarlo Cascino.
La prossima udienza, fissata per venerdì 24 maggio, vedrà ancora salire sul banco i teste convocati dalle difese, in attesa di giungere all’esame dei periti delle parti.