Siracusano di nascita e rumeno di adozione. L'ex master di Planetwin 365 è indagato per essere stato il dirigente dell'associazione illegale di scommesse e giochi online. Carattere umorale, «uno che si accontenta», «una montagna» o «il capo». Così viene definito
Fabio Lanzafame, chi è il pentito delle scommesse «Non sono Totò Riina ma su strategie comando io»
«Il comune denominatore dal quale si sono dipartiti vari rivoli». Così la direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria – che ha coordinato la maxi operazione che ha portato all’esecuzione di decine di provvedimenti di fermo nell’ambito delle scommesse sportive e dei giochi online – definisce Fabio Lanzafame. Siracusano di nascita e residente a Pitesti (in Romania), è ritenuto al vertice di un’unica associazione a delinquere composta da quattro diversi gruppi criminali nati dagli sviluppi imprenditoriali dell’adesione dell’agenzia Planetwin 365 – di cui Lanzafame è stato master (promotore territoriale) prima e capo area poi per l’intera Sicilia e poi anche in Calabria – alla sanatoria prevista dalla legge di stabilità 2015. Tutto questo prima di diventare nel 2018 il pentito delle scommesse indagato con l’accusa di essere stato dirigente-organizzatore dell’associazione.
Tra le persone che hanno a che fare con lui nel settore dell’azzardo c’è chi ne critica il carattere «umorale. Fabio è così, Fabio è a momenti» e chi ne parla come «uno che si accontenta. Lui è mia mamma». «Una montagna» o «il capo» sono gli appellativi che si guadagna Lanzafame per la sua duplice modalità operativa come promotore territoriale e gestore di una pluralità di reti commerciali operanti tramite siti “.com“. Da una parte, dunque, commercializza Planetwin 365 che, sino al 2014, svolge anche attività illecita di raccolta delle scommesse; parallelamente, gestisce e distribuisce una serie di skin, tramite siti esteri operanti con suffisso .com dedicati alla raccolta illecita delle puntate prima senza concessione poi, dal 2015, affiancandovi all’attività autorizzata dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli.
È lui stesso che, da quando decide di collaborare, racconta la sua scalata all’interno del sistema dell’azzardo. «Ho iniziato a lavorare nell’ambito delle scommesse, parliamo di punto.com con dei siti online privi di autorizzazione, con Goldbet nella zona del Catanese – dice Lanzafame al pm – C’era la possibilità sia di bancare […], sia di prendere una semplice provvigione». Non solo un compenso per il lavoro svolto ma anche la possibilità di partecipare al rischio imprenditoriale.
«In quel periodo non c’erano associazioni criminali che avevano lo stesso prodotto, cioè loro avevano molti interessati alle slot-machine e al mercato dei videopoker quindi è stato facile inserirsi», dice parlando degli anni fino al 2003 e dividendo la criminalità organizzata in due. «C’è la parte ignorante e la parte intelligente. Ci sono quelli che non hanno quella mentalità imprenditoriale, quella capacità e rimanevano su slot machine e video poker mentre già qualche mentalità più fina, noi abbiamo avuto degli esempi a Catania come Antonio Padovani (re delle slot machine etneo considerato vicino al clan dei Santapaola, ndr) che è stato uno dei primi che si è affacciato». Sono gli anni in cui calano le giocate alle slot e l’azzardo si sposta online.
«Oggi realmente sarebbe difficile, per come sono infiltrate le associazioni criminali nelle attività di gioco, poter creare un’azienda da zero e dire “io ho il mio brand, io entro e la faccio”», dice Lanzafame per ribadire la relazione tra operatori del settore del gioco d’azzardo e criminalità organizzata di cui lui stesso era stato vittima all’inizio della carriera imprenditoriale. Sarebbero alcuni esponenti del clan Cappello ad andare a chiedergli i soldi per pagare Padovani. Questo prima di trovare una (illegale) soluzione: mettere a disposizione delle mafie prodotti e brand diversi da quello principale, per avere spazi di espansione commerciale più ampia e libertà di gestione.
«Era il costo della libertà, perché altrimenti avrei potuto avere tante situazioni sgradevoli, invece così voi vi fate il vostro e a me mi lasciate in pace. Anche se cercavano sempre con i loro sistemi, “fratello mio ti voglio bene, sei la mia vita”. A Catania – spiega – lavoravano Cappello e Santapaola, però nessuno aveva la supremazia su nessuno. Comando io, solo io ma non perché sono un boss Totò Riina, solo perché sto parlando di strategia commerciale a livello imprenditoriale e io decido le reti .com e saranno anche più contenti perché guadagnano molto di più se seguono le mie direttive commerciali. E così è stato».
La società SKS365, proprietaria del marchio PlanetWin365, fa sapere che:
«Come specificato nel comunicato della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria, infatti: “Va precisato, con riferimento alla SKS365 che le investigazioni hanno riguardato esclusivamente la proprietà/management che ha gestito la società fino al 2017, ovvero prima della sua cessione ai nuovi proprietari, nei cui confronti non sono emersi elementi di responsabilità”. Come ufficialmente riportato negli atti presentati dagli inquirenti in sede Dipartimento Nazionale Antimafia, la nuova società SKS365 è da ritenersi dunque estranea a quanto accaduto ed emerso dalle indagini».