Giudicato inamissibile il ricorso in Cassazione di Pietro Salamone contro la condanna a tre annni di reclusione. L'uomo, in concorso con altre persone, nell'estate del 2012 avrebbe chiesto all'azienda un pizzo di trecento euro mensili
Estorsioni a ditta di prodotti per la casa Condanna in appello diventa definitiva
La polizia ha eseguito un ordine di carcerazione emesso dalla Procura generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Palermo a carico di Pietro Salamone, palermitano di trentacinque anni. L’ordine di carcerazione è giunto al termine di un iter giudiziario che si è concluso con l’inammissibilità del ricorso alla Corte di Cassazione che ha reso definitiva la sentenza d’appello emessa nel 2014 con la quale Salamone era stato condannato a tre anni di reclusione, al pagamento di una multa di tremila euro e all’interdizione per cinque anni dai pubblici uffici. Il trentacinqeunne era stato accusato di tentata estorsione, aggravata dall’ avere agito con il metodo mafioso.
Le attività investigative sono iniziate in seguito alle denunce dai titolari di alcuni esercizi commerciali, ricadenti nel mandamento mafioso di San Lorenzo. Il 18 dicembre 2012, i poliziotti hanno dato esecuzione a quattro fermi di indiziato di delitto emessi dalla Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia, fra cui quello a carico del Salamone. Il 20 dicembre dello stesso anno, al termine della relativa udienza, a carico del Salamone e degli altri fermati, il gip aveva emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, accogliendo le ipotesi di reato formulate dal pm sulla base delle fonti di prova raccolte dagli investigatori.
Dall’indagine è emerso che il malvivente e i suoi complici, tra l’agosto e il novembre 2012, avvalendosi delle tipiche modalità mafiose, avrebbero attuato una serie di azioni volte a costringere i titolari di una ditta di importazione e distribuzione di prodotti ed articoli per la casa a corrispondere un pizzo mensile di trecento euro. Il versamento della somma, come sarebbe stato rappresentato alle vittime dagli autori del reato, sarebbe stato necessario «per stare tranquilli».
Gli investigatori hanno ricostruito, grazie ai sistemi di videosorveglianza e a servizi sul territorio, le modalità dell’imposizione e i tentativi di estorsione degli individui colpiti dal provvedimento. Come raccontato dalle stesse vittime, le condotte dei malviventi apparivano caratterizzate dalla modalità mafiosa, sia nel linguaggio e nell’approccio adottati che nei ripetuti passaggi presso i locali dell’azienda vittima dell’illecita richiesta. Perlustrazioni, queste ultime, attuate con i ciclomotori, utili ad rendere sicuro e più incisivo l’avvicinamento degli imprenditori o dei loro dipendenti.