Su Santa Maria di Licodia gravavano le mire del clan Morabito-Rapisarda, colpito al cuore dall'operazione di ieri. La piazza di spaccio, secondo i magistrati, veniva governata dal carcere grazie ai buoni uffici della donna, finora incensurata, e del padre Nino
En plein 2, c’era una donna a dare gli ordini ai picciotti Vanessa Mazzaglia «portavoce» del marito in carcere
Le indagini dell’operazione
En Plein 2, condotte dalla Direzione distrettuale antimafia di Catania e concentratosi sul clan mafioso Morabito-Rapisarda, avrebbero permesso di far luce sugli equilibri criminali intorno alla piazza di spaccio di Santa Maria di Licodia. Proprio lì si concentrava uno smercio della droga diventato di sempre maggior rilievo, in cui un ruolo di primo piano sarebbe stato esercitato da Antonino Mazzaglia, suocero di Alessandro Giuseppe Farina, braccio destro del boss Salvatore Rapisarda, e da Vanessa Mazzaglia, la moglie finora incensurata di Farina. Quest’ultimo e Rapisarda avrebbero potuto comunicare con il mondo fuori dal carcere (dove tutt’ora di trovano) grazie ai buoni uffici della donna e del padre. Nel corso dell’operazione sono stati impiegati duecento militari, piazzando un colpo al cuore – 19 gli arrestati – di uno clan mafiosi più strutturati nei territori di Paternò, Santa Maria di Licodia e Belpasso.
La donna, secondo gli inquirenti, sarebbe stata, assieme al padre,
il gancio tra il boss incarcerato Rapisarda e l’esterno. Passavano da lei le indicazioni del campo per i picciotti. Vanessa Mazzaglia avrebbe «cooperato nello spaccio facendo da tramite fra il padre Nino (Mazzaglia) e gli altri associati che necessitavano – scrivono i magistrati – di rifornimenti per le cessioni al minuto; interagiva attivamente con i sodali per sollecitare il mantenimento proprio e del marito, li ammoniva a utilizzare canali più riservati temendo intercettazioni; riportava al marito gli esiti dei suoi contatti con i sodali e le valutazioni su chi doveva essere considerato più fedele e chi “un infamone”». Il quadro è stato ricostruito dalla Procura sulla base delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Orazio Farina, cognato della donna, ma anche delle intercettazioni telefoniche e dei colloqui in carcere. Lo stesso cognato, in un interrogatorio, avrebbe indicato l’indagata come «portavoce» del marito detenuto: «Vanessa in diverse occasioni si è fatta portavoce di Alessandro – racconta Farina al magistrato che lo sta ascoltando – riferendo a Barbagallo (Antonino, uno dei soggetti arrestati all’alba di martedì, ndr) disposizioni che provenivano da mio fratello, cosi come talora ha fatto anche suo padre».
A evidenziare l’importanza del
ruolo raggiunto dalla donna nell’ambito del clan, c’è anche un’intercettazione nei colloqui del novembre del 2017. Vanessa Mazzaglia avrebbe riferito al proprio congiunto che i soldi che riceveva da Vincenzo Marano (il nipote del boss Salvatore Rapisarda, responsabile degli affari di famiglia) non erano sufficienti e che si era fatta anticipare delle somme dalla suocera. La moglie avrebbe dunque rimproverato il marito perché non aveva richiamato all’ordine Marano nel giorno di un precedente colloquio. «Va be.. però a me me ne compiace dell’azione che c’è venuto fino all’altro giorno al colloquio – dice Vanessa a Farina – e non gli dici niente». A testimoniare il fatto che la donna fosse a conoscenza dell’attività di spaccio portata avanti a Santa Maria di Licodia, anche un’intercettazione telefonica del marzo del 2018 in cui, conversando col nipote Lucio Emanuele Farina (finito anch’egli in manette), nel timore di essere intercettati, avrebbero utilizzato termini come «copertoni» e «orologi» per riferirsi alla droga.