Piano piano, tra i siciliani, matura l'idea di una catastrofe che si avvicina. Ma non c'e' ancora contezza sulle responsabilita' di questa fase finale
EDITORIALE/ La Regione siciliana a grandi passi verso il default: anatomia patologica di un fallimento politico voluto
PIANO PIANO, TRA I SICILIANI, MATURA L’IDEA DI UNA CATASTROFE CHE SI AVVICINA. MA NON C’E’ ANCORA CONTEZZA SULLE RESPONSABILITA’ DI QUESTA FASE FINALE
Piano piano i siciliani stanno cominciando ad avere contezza che il fallimento della Regione siciliana si avvicina.
Lo stanno cominciando a capire gli oltre 24 mila precari dei Comuni siciliani fino ad oggi pagati, in buona parte, dall’Amministrazione regionale.
Lo stanno cominciando a capire i Sindaci dell’Isola.
Lo stanno cominciando a capire i dipendenti delle ex Province regionali.
Lo stanno cominciando a capire i dipendenti dei tanti enti regionali rimasti a secco.
Lo stanno cominciando a capire i forestali, lasciati a casa dal Governo regionale e attaccati dalla protezione civile nazionale perché ad Erice non hanno spento subito l’incendio (avrebbero dovuto lavorare gratis? non l’abbiamo capito).
Lo stanno cominciando a capire i dipendenti dei Consorzi di bonifica.
Lo stanno cominciando a capire i precari dell’Esa.
Lo stanno cominciando a capire i precari dell’assessorato al Territorio e Ambiente ai quali non vogliono rinnovare i contratti.
Lo stanno cominciando a capire i mille e 800 dipendenti circa degli sportelli multifunzionali ai quali, forse, garantiranno sei mesi per poi fargli intraprendere un viaggio verso l’ignoto.
Lo stanno cominciando a capire i portatori di handicap, abbandonati dai Comuni siciliani senza soldi.
Lo stanno cominciando a capire i non vedenti e i sordi, ai quali la Regione non è più in grado di garantire ciò che ha garantito nel passato.
Lo stanno cominciando a capire i dipendenti della Fondazione Orchestra sinfonica siciliana.
Lo stanno cominciando a capire i dipendenti del Teatro Vittorio Emanuele di Messina.
Lo stanno cominciando a capire i dipendenti del Teatro Bellini di Catania.
Lo stanno cominciando a capire i dipendenti del Teatro Massimo e del Teatro Biondo di Palermo.
Lo stanno cominciando a capire i protagonisti delle Associazioni, degli Enti e delle Fondazioni culturali della Sicilia (Inda, Fondazione Ignazio Buttitta, Istituto Gramsci, Centro Pio La Torre, Fondazione Orestiadi e via continuando).
Lo stanno cominciando a capire i dipendenti delle società partecipate dalla Regione.
Lo stanno cominciando a capire anche i dipendenti dell’assessorato regionale ai Beni culturali che, dopo due anni – perché questo è il secondo anno consecutivo che succede – debbono amaramente prendere atto che non ci sono nemmeno i soldi per eliminare le zecche nelle aree archeologiche siciliane, zecche che a maggio, a giugno e a luglio sono un problema serio.
Se ne stanno accorgendo anche all’Arpa, l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente.
La riflessione su quello che sta succedendo, ormai, è generale. E riguarda quasi tutti i settori della vita pubblica siciliana, colpiti inesorabilmente dai tagli.
Ma se la cognizione di un fallimento ormai vicino è ormai un fatto chiaro, non altrettanto chiaro è il perché di tale fallimento.
Molti titolari di attività culturali, ad esempio, se la prendono ora con i rispettivi Comuni e quasi sempre con la Regione, che l’immaginario dei siciliani ha sempre considerato come una sorta di pozzo senza fondo dove attingere per tutto: contributi a fondo perduto, finanziamenti, contratti di precari, assunzioni e quant’altro.
Nei siciliani l’idea di Autonomia siciliana è poco radicata. Ma è molto radicata l’idea di ‘Mamma Regione’ pronta a trasformare in dipendenti dell’assessorato ai Beni culturali i commessi di una catena di negozi di scarpe o gli operai di un’azienda di scaldabagni.
Per decenni la Regione ha accolto i ‘prodotti’ di quasi tutti i fallimenti, per lo più industriali o presunti tali, della Sicilia. Per decenni ha alimentato l’idea del ‘posto fisso’ alla Regione per tutti: belli e brutti, operai e tecnici, nulla facenti e nulla tenenti.
In tanti decenni la Regione ha trasformato, come per magico incanto, cuochi in dirigenti, diplomati in ‘apicali’, dipendenti in funzionari, ingegneri in amministrativisti, architetti in manager della sanità, agronomi in contabili e via continuando.
Non è un caso se tali ‘magie’ ci hanno regalato un segretario generale della Presidenza della Regione ‘filosofa’ invece che giurista. Tutto ha fatto ‘brodo’, nell’amministrazione regionale.
Oggi la festa è finita. Ma – lo ripetiamo – non c’è ancora contezza del perché di un fallimento così imminente.
Eppure la spiegazione è semplice. Basta avere la pazienza di legge i numeri – quelli più semplici – del Bilancio regionale.
Non c’è bisogno di essere economisti per capire che la Regione paga già sette o otto mutui. Gli ultimi due – il primo da oltre 300 milioni di euro e un secondo da 950 milioni di euro – contratti appena un mese fa.
Non c’è bisogno di essere economisti per capire che è sempre più difficile pagare 18 mila e passa dipendenti più 70, forse 80 mila precari.
Non c’è bisogno di essere economisti per capire che i Comuni dell’Isola non possono reggere l’indebitamento con gli Ato rifiuti e una gestione folle del servizio idrico.
Così come non è difficile capire che gli stessi Comuni siciliani non possono pagare i minori ricoverati in Sicilia dal Ministro Alfano e dalla sua operazione Mare Nostrum: perché i Comuni siciliani, caro Ministro, non hanno a disposizione 85 milioni di euro all’anno per pagare le oltre 300 comunità per minori già operative in Sicilia!
Non c’è bisogno di essere economisti per capire che l’aumento della quota di compartecipazione della Regione alle spese sanitarie – passata dal 2007 al 2009 dal 42 al 49 circa per cento – senza una contropartita adeguata, avrebbe provocato un esborso in più, per i cittadini siciliani che pagano le tasse, pari a 600-700 milioni all’anno a partire dal 2009: cosa che si è puntualmente verificata.
Non c’è bisogno di scomodare l’economia per capire che, in una situazione tendenzialmente difficile, il prelievo di 950 milioni di euro dal Bilancio 2013, operato dal Governo nazionale, avrebbe messo in crisi la Regione.
Non c’è bisogno di scomodare l’economia – e siamo arrivati ai giorni nostri – per capire che l’ulteriore prelievo di 1 miliardo e 50 milioni dal Bilancio regionale 2014 operato dal Governo Renzi avrebbe mandato in tilt la Regione e lasciato mezza Sicilia senza soldi.
Agli operatori dei Teatri siciliani, delle Fondazioni culturali, dei musei, ai forestali e via continuando con tutte le categorie che abbiamo elencato va detto che a determinare il crollo della Regione non è stata la legittima impugnativa della Finanziaria da parte del Commissario dello Stato.
L’impugnativa è sacrosanta e legittima. Perché Governo regionale e Ars, invece di scatenare un casino contro Roma che ci ha scippato, in meno di due anni, 2 miliardi di euro circa (e ancora si deve prendere i 200 milioni di euro per la sceneggiata degli 80 euro: e lo giuriamo: non abbiamo ancora capito da dove li dovrebbe prendere), hanno provato a utilizzare le somme che devono servire per fronteggiare il ‘buco’ dei residui attivi, ovvero di circa 4 miliardi di entrate iscritte nel Bilancio regionale, ma rigorosamente fittizie!
Può sembrare paradossale, ma senza l’impugnativa dell’Ufficio del Commissario dello Stato oggi la situazione finanziaria della Regione sarebbe ancora più critica!
Ovviamente, questo non assolve la classe dirigente – o presunta tale – della Sicilia. La responsabilità di un modello non di sviluppo, ma di sottosviluppo economico, sociale e culturale è, in primo luogo, di noi siciliani.
Siamo stati noi a votare, nel corso dei decenni, ‘ascari’ che si sono fatti solo i cazzi propri massacrando la nostra Isola. Assolverci, oggi, non serve.
Detto questo, c’è una responsabilità, gravissima, del Governo di questa Regione nell’ultimo anno e mezzo. Con un Governo che, lungi dal difendere la Sicilia, ha contribuito ad affossarla.
Invitiamo, quindi, tutti i siciliani a individuare di chi sono le responsabilità del fallimento ormai imminente della Regione.
Tenendo conto – l’abbiamo scritto qualche giorno fa e ribadito stamattina – che i 518 milioni di euro presentati dal Governo Crocetta come la panacea di tutti i mali potrebbero essere, invece, un frutto avvelenato: potrebbero essere frutto di un baratto: Roma dà alla Sicilia questi soldi in cambio della rinuncia al contenzioso finanziario Stato-Regione siciliana. Una follia! Il tradimento finale verso la nostra Isola.
Se così sarà – e noi non ce lo auguriamo e attendiamo che il Governo Crocetta ci smentisca – diremo addio alla corretta applicazione degli articoli 36, 37 e 38 dello Statuto, addio al contenzioso sulla sanità, addio al contenzioso sul federalismo fiscale, addio al contenzioso sugli accantonamenti forzosi degli ultimi due anni operati da Roma e via continuando.
Ora è tempo di capire di chi sono le responsabilità di quello che succederà non fra tre anni, ma nei prossimi mesi e, soprattutto, a gennaio del prossimo anno.