Un documento di 55 pagine è stato consegnato all'assessore regionale alle Infrastrutture Marco Falcone. Gli ingegneri spiegano che, in alcuni dei corpi di fabbrica analizzati, la «vita residua è nulla». Cioè il calcestruzzo è completamente rovinato
Ecco perché il Palazzo delle Poste sarà buttato giù Cemento armato corroso. «Recupero costa troppo»
Dodici milioni di euro per abbatterlo e ricostruirlo. Ne servirebbero invece diciassette milioni per recuperare la struttura esistente e adeguarla. In altri termini: mettere in sicurezza il Palazzo delle Poste di viale Africa non è conveniente. Si risparmia di più costruendo ex novo un edificio che possa ospitare la futura Cittadella della giustizia. È questo l’esito della prima relazione tecnica che è stata inviata all’assessorato regionale alle Infrastrutture. Il lavoro di studio sul manufatto esistente non è ancora finito ma, scrivono gli ingegneri, alla luce dei risultati ottenuti per i primi corpi di fabbrica analizzati, il «piano di indagini diagnostico può essere rimodulato con possibilità di significative economie per la stazione appaltante». Cioè: peggio di quello che abbiamo trovato, sarà difficile trovare.
Nel documento di 55 pagine, consegnato all’assessore regionale Marco Falcone, si parla chiaramente di «carenze strutturali» sotto tutti i profili, ovviamente anche dal punto di vista della normativa antisismica. E si spiega che non è possibile garantire, allo stato attuale, quella che tecnicamente viene definita una «vita utile residua» che possa giustificare l’investimento. Per spiegarlo in termini semplici: la vita residua è il numero di anni nel quale un edificio, con la manutenzione ordinaria, può essere usato per lo scopo al quale è destinato. Va da sé che la qualità e lo stato di conservazione dei materiali usati, in questo senso, è fondamentale. «Se questi risultano scadenti – continuano i tecnici – e la vita utile residua è inferiore a quella richiesta deve essere previsto il ripristino dei materiali».
«A meno di interventi diffusi – prosegue il documento – non si possono garantire i 75 anni richiesti dal committente» e inseriti nel capitolato d’appalto. Addirittura, rispetto a due edifici analizzati «la vita nominale residua è nulla». Il Palazzo delle Poste, per via della sua vicinanza al mare, ha bisogno, inoltre, di speciali cementi e di coperture mediamente più spesse rispetto a quelle necessarie per edifici costruiti distanti dall’acqua. Questo perché, per dirla in modo che nulla a che fare con la precisione usata dagli ingegneri, l’aria di mare fa male alle strutture. «Analisi chimiche più approfondite hanno evidenziato, nello spessore di ricoprimento, presenza di cloruri sopra la soglia di concentrazione critica di innesco della corrosione». A questo dato va aggiunto che, in quasi tutti i punti analizzati (tranne uno), non c’è sufficiente cemento a ricoprire le armature in ferro della struttura.
«Tale affermazione trova conferma nel fatto – continuano gli esperti – che per tutti gli elementi indagati la profondità di carbonatazione risulta maggiore rispetto allo spessore di ricoprimento rilevato». La «carbonatazione» è la capacità dell’anidride carbonica di passare attraverso il calcestruzzo, poiché quest’ultimo è diventato poroso. Più anidride carbonica passa più, soprattutto in ambienti umidi (e quello di viale Africa lo è), l’armatura arrugginisce facilmente e diventa friabile. Nel caso del Palazzo delle Poste, lo spessore del copriferro non era tale da impedire all’anidride carbonica di divorare l’armatura.
La situazione di degrado dell’edificio comporta così che «i costi per il mantenimento della struttura attuale risultano significativamente maggiori di quelli necessari per la demolizione totale e ricostruzione». Tirando su, invece, un nuovo edificio potrebbe anche venire fuori una nuova identità per il waterfrontdella città, monopolizzato dal mostro di fragile cemento che adesso svetta sui binari della ferrovia. Al termine dei lavori, il Palazzo delle poste diventerà di proprietà dell’Agenzia del demanio, che lo consegnerà al ministero della Giustizia. Quando tutto questo sarà realizzato, però, sembra lontano dall’essere definito. L’assessore Falcone, venerdì scorso durante un convegno all’ex Provincia, ha dichiarato che le demolizioni partiranno entro l’anno per concludersi entro l’estate 2020. In viale Africa saranno localizzati la sezione Civile e del Lavoro della Corte d’Appello e del tribunale, gli uffici del giudice di pace, delle notifiche e della polizia giudiziaria. Un numero considerevole di uffici che catalizzerà l’attenzione di parecchi cittadini catanesi, oltre che di lavoratori.