Droga, gli affari tra la Stidda e i trafficanti catanesi Gli incontri con il titolare di un’agenzia di vigilantes

Un «impegno instancabile» nel traffico di stupefacenti che ha avuto come spartiacque la scarcerazione del capomafia Bruno Di Giacomo. Dal 2014 Marlon Brando, soprannome con cui viene indicato, avrebbe ripreso in mano gli affari della droga per conto della Stidda gelese. Il tutto con l’aiuto del fratello Giovanni, anche lui uscito di prigione cinque anni fa. Le forniture, già consolidate con le cosche di Napoli e Palermo, avrebbero avuto un canale privilegiato anche in direzione Catania. Spuntano così i contatti con alcuni intermediari vicini al clan Cappello ma anche con personaggi impegnati nel mondo della sicurezza nei locali notturni. Tra cui il titolare di una società etnea. 

Il primo nome della lista è però quello di Sebastiano Desi. Dopo averlo conosciuto da detenuto nel carcere di Agrigento, e a quanto pare averlo pure mantenuto, Giovanni Di Giacomo avrebbe ripreso i contatti con il pregiudicato, ritenuto vicino al clan di Salvatore Cappello. Ad alzare la cornetta per primo, già il giorno dopo la scarcerazione è proprio Desi. Una breve telefonata finita agli atti dell’inchiesta Stella cadente, utile per cominciare a scavare sui rapporti Catania-Gela: «Ciao gioia mia, aeri mi scarceraru». Per gli inquirenti c’è un passaggio in quel dialogo che preannunciava la volontà dei due uomini di mettersi a trafficare insieme. A parlare è Di Giacomo: «L’importante è che sei libero – diceva – e poi non ti preoccupare, ci mettiamo d’accordo». Il faccia a faccia non sarebbe stato però così facile da organizzare, anche perché all’epoca dei fatti gli spostamenti erano limitati a causa di alcune restrizioni. «Tu lo sai come sono combinato – spiegava Desi – e io so come sei combinato tu». «Ora troviamo una soluzione», gli rispondeva il boss gelese. 

Una soluzione alla fine i due l’avrebbero trovata grazie all’utilizzo di un’intermediario. Individuato in Alessandro Scilio, cugino del capomafia gelese. Sarebbe stato quest’ultimo a essere stato spedito a Catania, nel quartiere San Giovanni Galermo, prima al cospetto di Desi e, successivamente, davanti una terza persona. Per fare cosa? «Effettuare un approvvigionamento di stupefacente», si legge nell’ordinanza di custodia cautelare. 

Tra i nomi che compaiono nelle carte dell’inchiesta, pur non essendo indagato, c’è quello del titolare di un’agenzia di sicurezza a Catania, la stessa che si occupava della discoteca Malibù a Gela (con la società che l’aveva in gestione sequestrata, ndr). L’uomo viene indicato nell’ordinanza di custodia cautelare come «il soggetto a cui l’organizzazione mafiosa si rivolgeva per reperire stupefacenti sul territorio catanese». Anche con quest’ultimo il contatto diretto sarebbe stato gestito dal nipote del capomafia gelese. Grazie ad «assidui rapporti» fatti di «improvvisi incontri». Uno di questi, per esempio, cominciato lungo corso Indipendenza, a Catania, e proseguito negli uffici della società di sicurezza per incontrare «zio Pippo». Di professione buttafuori ma anche lui non indagato in questa inchiesta. 

I dettagli dell’incontro sono coperti dagli omissis ma, secondo gli inquirenti, si sarebbe parlato di affari illeciti. Ipotesi rafforzata dal fatto, almeno secondo l’accusa, che in quella stessa giornata il nipote del capomafia dopo l’incontro sarebbe tornato a Gela per poi rimettersi in marcia verso Catania «per acquistare e trasportare lo stupefacente», si legge nell’ordinanza di custodia cautelare. I rapporti tra la Stidda gelese e gli uomini del clan Cappello si sarebbero allargati anche grazie a Luciano Guzzardi, conosciuto con l’appellativo di Luciano lavati i manu. Volto noto delle cronache giudiziarie catanesi, finito nei guai nell’inchiesta Revenge 5, ma anche protagonista, insieme al nipote del boss, di una «frenetica» organizzazione nel traffico di droga. Sotto la lente d’ingrandimento svariati incontri compreso un presunto summit che si sarebbe tenuto in un bar del centro commerciale Porte di Catania


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