In questi giorni l’Ars dovrà esaminare e approvare il Documento di programmazione economica e finanziaria. Tra la diminuzione delle entrate, il silenzio sull'aumento di tasse e imposte locali e le ambiguità sulle comunità alloggio che dovrebbero essere pagate dallo Stato. Ecco la prima parte di un'analisi di questo importante testo
Dpef Sicilia: i sogni e i tagli dell’assessore Baccei Il grande affare dell’assistenza tecnica sui fondi europei
La parte più interessante del Documento di programmazione economica e finanziaria (Dpef) – che in questi giorni dovrebbe essere esaminato e approvato dal parlamento dell’Isola – è la nota introduttiva firmata dall’assessore all’Economia, Alessandro Baccei. C’è un’analisi sulla crisi economica e finanziaria della Regione. E c’è la strategia che l’assessore vorrebbe attuare a partire da quest’anno. Baccei dice che le entrate tributarie della Sicilia diminuiscono. E fa notare che «la spesa produttiva arretra anno dopo anno». Quindi un passaggio sibillino, là dove constata che «il mantenimento del livello dei salari pubblici non produce effetti significativi sui consumi, che troppo risentono del clima generale di sfiducia». Forse i dipendenti pubblici della Sicilia risentono dell’aumento delle tasse e delle imposte locali, oltre che del «clima di sfiducia». Aumento di tasse e imposte locali provocato dal governo nazionale di Matteo Renzi, che ha tagliato ingenti risorse agli enti locali costringendoli a tassare i cittadini. In ogni caso – tanto per citare un esempio – l’assessore forse non sa che i medici pubblici della Sicilia hanno le retribuzioni bloccate da qualche anno.
Per l’anno in corso Baccei individua un «vistoso squilibrio» che quantifica in un miliardo e 795 milioni di euro (anche se il buco di cassa, in realtà, sfiora i cinque miliardi di euro). Anche se, qualche rigo dopo, ammette la presenza di un «deficit molto più ampio». Baccei segnala alcuni punti di sofferenza: la mancanza di risorse da trasferire ad enti regionali; l’accantonamento di un miliardo e 112 milioni di euro (soldi che lo Stato ha trattenuto dalle entrate regionali); i soldi da trovare per abbattere i residui attivi (cioè per eliminare le entrate fittizie dal Bilancio), come richiesto dalla Corte dei Conti, «finanziate solo in parte»; e la mancanza di copertura finanziaria per forestali, consorzi di bonifica, Esa e «comunità alloggio». Quest’ultimo passaggio è poco chiaro. A quali «comunità alloggio» fa riferimento l’assessore? Non certo – supponiamo – ai 350 centri siciliani che ospitano i minori migranti non accompagnati. Questi, è noto, li deve pagare lo Stato e non la Regione.
La riqualificazione della spesa prevede iniziative che l’assessore ha già presentato alla stampa ancor prima di averne parlato ai deputati dell’Ars: riforma della macchina burocratica regionale e degli enti, con la «rideterminazione delle posizioni apicali» (dovrebbe trattarsi della riduzione dei dirigenti regionali) e la «ridefinizione del sistema degli incentivi»; «revisione e razionalizzazione degli spazi occupati dagli stessi» (si riferisce ai dipendenti regionali o agli enti regionali?); poi «revisione del numero e delle mission degli enti e delle società strategiche»; «riqualificazione della spesa per precariato e forestali, oggi intesa di fatto come spesa sociale»; «centralizzazione degli acquisti».
In questo passaggio della relazione l’assessore lancia una sfida che dovrebbe scatenare una bagarre a Sala d’Ercole e, soprattutto, fuori dal parlamento siciliano. La riduzione dei dirigenti regionali non si annuncia facile (i sindacati autonomi sono già sul piede di guerra); ci saranno polemiche anche sulla riduzione delle società regionali; mentre rimangono fumosi i progetti per ridurre il numero dei forestali (chi dovrebbe pagare i prepensionamenti? E che significa fare lavorare questo personale in altri settori dell’amministrazione?). Per non parlare dei precari, molti dei quali – è il caso del precariato dei Comuni – lavorano 20-25 anni. Che significa «riqualificare» questo personale? Gli unici modi per effettuare risparmi in questo settore è la riduzione degli stipendi (già bassi), il trasferimento di tali soggetti alle imprese private che dovrebbero assumerli e pagarli (e dove sarebbero queste imprese in Sicilia?). O, molto più semplicemente, il loro licenziamento. Ma questo nessuno ha il coraggio di dirlo. Anche se l’assessore dimentica di scrivere che la Regione, nel 2014, non ha versato ai Comuni, per intero, il Fondo per il riequilibrio del precariato: avrebbe dovuto erogare 270 milioni di euro circa, ne ha erogati 80 circa. Così, per pagare questi precari molti Comuni si sono indebitati con le banche.
Nella parte della relazione firmata da Baccei c’è un lungo panegirico sui fondi europei. Dopo i soliti avvertimenti sui quali non si può che essere d’accordo («le speranze di rilanciare l’economia dell’Isola sono quasi completamente affidate al corretto utilizzo di questi fondi»), si arriva al passaggio cruciale, là dove l’assessore scrive che la regione si dovrà dotare di «un’organizzazione in grado di velocizzare la certificazione della spesa, in modo da rispettare gli obiettivi e di minimizzare la tensione finanziaria». Forse si riferisce all’assistenza tecnica da affidare a soggetti esterni alla Sicilia, modello formazione professionale?