Donne del Sud, ‘figlie’ della legge Biagi

Cosa resta ad una donna del Sud, di età ritenuta superiore a quanto richiesto dal mondo del lavoro, figlia della ‘legge Biagi’ e dunque disoccupata e marginalizzata, nonostante anni di esperienza lavorativa e cultura universitaria? Scrivere al Presidente Napolitano attraverso il suo sito ufficiale della Presidenza della Repubblica.
Un freddo format è lì, a raccogliere una difficile confessione, sì, la più difficile: ammettere che, nonostante le infinite volte – in questi anni dalla laurea in poi – mi sia reinventata come lavoratrice, studiando e cercando di essere professionale e preparata, innovativa e flessibile come suggerito dal ministro Elsa Fornero oggi, ho fallito!
Mi ritrovo da un anno senza neppure quello spiraglio del lavoro a progetto con qualifica inferiore al mio livello culturale e professionale, ma pur sempre retribuito anche se dopo mesi. Mi ritrovo a girovagare su Monster, Job rapido, Adecco, Temporary e infiniti altri siti che pubblicano pagine e pagine di lavoro, come racconto al Presidente Napolitano; leggo e rileggo annunci su figure che coincidono con ciò che so fare e che ho maturato professionalmente, ma o in nero o con altro indicativo che dalla Sicilia in su non esiste.
Mi rattrista vedere come gli annunci cercano figure di alto profilo e capacità, ma che non superino i trent’anni! Mi chiedo come può un ragazzo uscito dall’Università che ha una conoscenza solo accademica del mondo professionale al quale si accosta, coordinare, presiedere addirittura delle attività gestionali? Poi la ragione prende come sempre il controllo sulle emozioni: è solo una questione economica per i datori di lavoro, non di qualità: assumere un giovane comporta sgravi fiscali e aiuti governativi per ridurre i costi della produzione, nulla di più.
Scrivo al Presidente Napolitano che al ‘tavolo’ sul lavoro in corso si dovrebbe parlare della nostra generazione, che magari ha figli, o è separato, o ancora non può lasciare la casa dei genitori poiché non ha il denaro sufficiente per mantenersi, e certo non ama la condizione di sopravvivenza in cui è: non vede futuro, né qualcuno che pensi a loro.
La nostra generazione della laurea vecchio ordinamento, orgoglio e sacrificio dei nostri padri, per contribuire a un’Italia migliore; la nostra generazione che ha servito i giochi della politica solo per un posto di lavoro a progetto e che ora non li vede neppure in giro i politici di prima.
Scrivo al Presidente che ho paura del mio domani, perché non sono vecchia per il mondo del lavoro, anzi! Ho paura di non potermi mantenere con la dignità che mi è dovuta come cittadina italiana e come donna, ho paura che non ci sia più un futuro.
Sento la Fornero dire a chiare lettere che i giovani se lo debbono risolvere da soli il problema del lavoro, il posto fisso non ci sarà più; ancor più tremo, poiché noi invisibili dimenticati siamo ancora più svantaggiati dalla giungla che stanno creando: giovani contro mezzani, una lotta impari.
So che il Presidente Napolitano non leggerà neppure il mio messaggio, ma se fossimo tutti a parlare, a farci sentire come i ‘Forconi’ esasperati hanno iniziato a fare, forse – e dico forse – usciremmo dall’invisibilità e ci regaleremmo un’opportunità.
Se non lottiamo per esistere non abbiamo diritto a lamentarci della nostra condizione: in piazza c’erano gli anziani agricoltori e gli studenti, manchiamo noi i figli della politica clientelare di un tempo, che ci ha dato solo la situazione attuale: la formazione prima, i call center ora. Oggi tutto il sistema clientelare crolla! Bisogna lottare ora per farci sentire da questo governo come voce sociale indignata per non essere stata neppure considerata come forza lavoro da rimettere in circolo.

 


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