Gli investigatori della squadra mobile e della scientifica di Catania non hanno dubbi sull'autore del delitto: sarebbe stato Angelo Fabio Matà ad ammazzare la madre colpendola ripetutamente con massi pesanti fino a 23 chili. «L'uomo ha sempre negato, per tre anni, nonostante le prove», spiega il dirigente Salvago
Donna uccisa al cimitero, i dettagli del delitto «Rapporto ossessivo, il figlio provava rancore»
L’omicida della vedova Maria Concetta Velardi, avvenuto nel gennaio del 2014 all’interno del cimitero di Catania, avrebbe finalmente un nome. È quello del figlio, l’ex militare della marina Angelo Fabio Matà. Gli uomini della squadra mobile di Catania, supportati dalle analisi dei colleghi della scientifica, non hanno dubbi: a distanza di tre anni e mezzo, resta lui l’unico indiziato e, per questo, nelle prime ore di oggi è stato arrestato. Giunge a una svolta quindi un caso molto complesso per cui sono stati usati più reparti delle forze dell’ordine e diverse tecniche di indagine. Determinante il contributo di tre testimoni che, come racconta il dirigente Antonio Salvago, hanno raccontato di aver sentito «le urla di una donna, sicuramente per una lite, provenire da un punto ben determinato del camposanto, tra le 15.30 e le 15.45».
Questo sarebbe lo stesso orario in cui, secondo quanto ricostruito dalle triangolazioni delle celle telefoniche e degli interrogatori, Matà si trovava all’interno del cimitero «da solo con la madre, nonostante lui inizialmente abbia raccontato di essere in presenza di altre persone», aggiunge Salvago. A incastrare definitivamente l’uomo, secondo quanto spiegano gli investigatori, sarebbero state le sue tracce biologiche trovate nelle unghie della mano della vittima e il sangue di quest’ultima, rinvenuto nella portiera posteriore destra della macchina di Matà.
«Quando siamo stati avvisati dal 118 – racconta il capo della squadra mobile – abbiamo trovato il cadavere in posizione supina, alcuni sassi accanto al corpo e altri in un vialetto». Sin dai primi rilievi gli inquirenti formulano quindi una prima ricostruzione dei fatti: «La donna è stata colpita con un colpo alla nuca da una delle pietre, che erano ricoperte di sangue – aggiunge il funzionario – dopo di ché, probabilmente tramortita, è stata trascinata in un corridoio, portata in un luogo in disparte e aggredita con ulteriori colpi dati da grossi massi di circa 23 chili». Elemento che ha subito fatto pensare all’intervento di un uomo dotato «di una certa forza fisica».
A supporto della tesi dello spostamento della vittima, la polizia scientifica ha rilevato alcune abrasioni da trascinamento nella parte posteriore del corpo, collegate alle tracce di sangue trovate nel vialetto e – altro elemento fondamentale – sulla vettura del figlio. Proprio dal suo cellulare, inoltre, è partita la telefonata che ha allertato i soccorritori che, da parte loro, hanno avvisato le forze di polizia. In particolar modo a fare la prima chiamata, dal telefono «grondante di sangue» di Matà è stata una donna che si trovava lì. «La signora – aggiunge Salvago – ha avvisato il 118 e diceva “c’è una donna per terra coperta di sangue” mentre, di sottofondo, si sentivano le urla del figlio».
Il movente sarebbe da ricercare nel profondo rancore provato dall’uomo per la donna. «Per tre anni – continua il dirigente – Matà, anche davanti alle nostre prove, ha sempre negato di aver compiuto il fatto. Tuttavia siamo certi che il motivo dell’omicidio sia uno storico rancore che il militare covava nei confronti della madre, ritenuta da lui un ostacolo alla realizzazione dei progetti di vita personale». In particolare, la causa scatenante sarebbe collegata «all’intenzione di sposarsi». Il rapporto con la donna, testimoniato dalle continue telefonate che Matà le faceva nel corso della giornata e dal fatto che la accompagnasse sempre nelle sue visite quotidiane al camposanto, viene definito «ossessivo».
A rendere ancora più inquietante il quadro sono le azioni compiute dal figlio subito dopo il delitto, secondo gli inquirenti finalizzate «a simulare normalità per crearsi un alibi». «L’uomo infatti – spiega ancora Salvago – durante i tre interrogatori a cui è stato sottoposto, si è più volte contraddetto e ha fornito una versione che non coincideva per nulla con quella dei testimoni e con le nostre rilevazioni e ha indicato in due presunti spasimanti della madre i possibili autori del gesto». Presenza poi smentita dai rilievi che, invece, accertano come l’uomo sia più volte entrato e uscito dal cimitero con la propria macchina. In particolare, anche dopo la morte della donna, Matà uscì da solo dai Tre Cancelli, con in tasca anche il cellulare della madre. Tutti elementi che hanno portato il giudice per le indagini preliminari a confermare la ricostruzione della polizia e a disporre l’arresto.