Interventi su tutti i fiumi della regione, questo è uno dei baluardi del programma del governatore Renato Schifani contro il dissesto idrogeologico. Un piano già finanziato a cui si affiancano tanti interventi di consolidamento dei costoni rocciosi iniziati già dal governo Musumeci e proseguiti dall’esecutivo in carica e infine dall’ultima idea di palazzo d’Orleans: un […]
Dissesto idrogeologico, la Sicilia fa abbastanza? L’esperto: «Servono piani ragionati e tanta comunicazione»
Interventi su tutti i fiumi della regione, questo è uno dei baluardi del programma del governatore Renato Schifani contro il dissesto idrogeologico. Un piano già finanziato a cui si affiancano tanti interventi di consolidamento dei costoni rocciosi iniziati già dal governo Musumeci e proseguiti dall’esecutivo in carica e infine dall’ultima idea di palazzo d’Orleans: un servizio di e–procurement, una sorta di osservatorio telematico dei rischi, per cui è stata pubblicata di recente la gara per l’affidamento. Servizio quest’ultimo, che permetterà, secondo la Regione, «un ulteriore potenziamento della gestione telematica delle procedure». Ma sarà sufficiente?
Com’è tristemente noto, negli ultimi anni bastano delle piogge poco più sostenute del normale per rendere le strade cittadine veri e propri corsi d’acqua, da Palermo a Catania, passando per Messina. Per non parlare delle strade provinciali, sempre più soggette a frane e smottamenti. «La situazione della Sicilia, come il resto dl’Italia, è quella di un territorio molto fragile e resterà sempre una condizione di rischio residuo, ammesso che quello che si sta facendo abbia un’incidenza importante» spiega a MeridioNews Filippo Cappotto, membro del consiglio nazionale dei geologi.
«Le tragedie sembrano essere tutte le stesse – continua il geologo – ma magari si verificano in posti diversi sul territorio». Posti non sempre facili da prevedere col giusto anticipo. «I rimedi ci sono e possono essere messi in campo con azioni preventive che possono essere sia strutturali che non strutturali. Ma soprattutto la gente deve essere informata in modo assoluto se abita in zone a rischio elevato, deve essere cosciente e informata del rischio che corre, soprattutto la popolazione anziana, più fragile».
Per il resto, secondo Cappotto, «la manutenzione deve essere ben organizzata. Spesso si corre dietro a progetti con tempi rapidi per dare in pasto qualcosa all’opinione pubblica, ma bisognerebbe agire con dei piani ragionati. Sentiamo dire spesso che conosciamo tutto ciò che c’è sul territorio, i rischi, le frane, le aree insondabili. Raramente però sentiamo dire “sappiamo come fare”. Servono politiche territoriali che guardino alla prevenzione, ma anche a rendere i territori maggiormente resilienti».
E a un territorio già fragile si aggiunge un altro pericolo reale, quello causato dal mutamento del paesaggio dopo i vastissimi incendi di questa estate. «Nelle aree fragili, dove la copertura vegetale tratteneva il terreno, l’effetto degli incendi, che ha distrutto l’apparato radicale, può determinare l’innesco di quelle frane che sono più pericolose per la vita dell’uomo, sono frane superficiali, che si attivano rapidamente e rapidamente si espandono. Qualche giorno fa è successo un caso emblematico, in un’area del Messinese, frane rapide dopo un’incendio violentissimo».