Discarica Cisma, la corruzione dietro l’ampliamento I professionisti utili agli imprenditori accusati di mafia

Il 12 giugno del 2014 ai cancelli della discarica Cisma di Melilli, che raccoglie i rifiuti speciali e non di mezza Sicilia, si presentano i carabinieri del Nucleo operativo ecologico di Catania. Non è la prima volta che i militari fanno visita all’impianto. Un’indagine è in corso per valutare anomalie nella gestione del sito gestito di fatto (ma questo verrà reso noto solo tre anni dopo) da Antonino e Carmelo Paratore, ritenuti affiliati al clan Santapaola di Catania. Quel giorno l’obiettivo dei carabinieri è effettuare un nuovo sopralluogo per verificare lo stato dell’impianto e la regolarità dei manufatti. Stavolta però, a differenza del passato, ai militari viene impedito l’accesso. «Il pm ha nominato dei consulenti, qualsiasi vostra attività non può essere quindi svolta». È questo il messaggio che il maresciallo si sente recapitare telefonicamente dall’avvocato Giuseppe Calafiore, legale della Cisma. 

Adesso si scopre che quei periti, nominati dal sostituto procuratore Giancarlo Longo, sarebbero stati corrotti per favorire la società siracusana producendo un elaborato falso, al fine di garantire la regolarizzazione della discarica e il suo ampliamento con una seconda vasca. Con l’accusa di corruzione in atti giudiziari e falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici sono finiti agli arresti domiciliari il funzionario della Regione Mauro Verace, il docente di Meccanica Vincenzo Naso, e il commercialista Francesco Corrado Perricone. Ma ancora una volta, come per gli altri casi finiti nell’inchiesta della Procura di Messina, i veri registi dell’operazione sarebbero stati l’avvocato Calafiore e il magistrato Longo, entrambi in carcere. 

La discarica Cisma di Melilli, la gestione di alcuni rifiuti, così come l’iter che ha portato all’autorizzazione per l’ampliamento erano già finiti al centro dell’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Catania lo scorso marzo, quando gli inquirenti hanno fatto luce sulla rete di interessi dei Paratore. Pure in quell’occasione due dei tre consulenti nominati dalla Procura di Siracusa sono stati coinvolti. Uno, Naso, ha scelto il rito abbreviato ed è stato assolto dall’accusa di falso. Per Verace, rinviato a giudizio, il processo è ancora in corso. Adesso, però, nuovi elementi e ipotesi di reato si aggiungono a loro carico. Intanto, l’impianto siracusano continua a funzionare sotto un’attenta amministrazione giudiziaria e la seconda vasca, la cui realizzazione trova ampio spazio nelle inchieste delle Procure di Catania e Siracusa, è stata aperta senza essere sottoposta a una nuova Valutazione di impatto ambientale. Esattamente quello per cui gli indagati si sarebbero battuti con ogni mezzo, compresa una articolata rete di corruzione.  

La mattina del 12 giugno del 2014, alla vista dei carabinieri, è Agata Di Stefano, consigliere della Cisma, a chiamare Carmelo Paratore per chiedergli come comportarsi. Il giovane imprenditore, a processo per mafia, chiama subito l’avvocato Calafiore che richiama Di Stefano e si fa passare i carabinieri. Qui non si entra. Uno stop reso possibile dalla nomina da parte del pm Longo dei consulenti Verace e Perricone. Il primo, presentato come esperto in materia di rifiuti, ha il mandato di «accertare se l’impianto sia stato realizzato nel rispetto della prescrizioni e delle condizioni dettate dall’Autorizzazione Impatto Ambientale, rilasciata nel 2013, se i manufatti edilizi realizzati siano conformi alle autorizzazioni rilasciate, se gli impianti all’interno dell’azienda siano efficienti, se i rifiuti immessi nel centro fossero siano autorizzati ed, infine, se le operazioni di smaltimento di recupero siano state effettuate nel rispetto delle leggi». Al secondo viene affidato il compito di «accertare se le dichiarazioni annuali dei redditi dal 2011 al 2013 rappresentassero fedelmente la situazione economico- finanziaria della società», nonostante, sottolineano i giudici di Messina nell’ordinanza, «non vi fosse al riguardo alcuna notizia di reato». 

Così facendo però i carabinieri del Noe – che fino a quel momento avevano condotto le indagini sollevando critiche nella gestione dell’impianto (manufatti costruiti senza concessione edilizia e rifiuti stoccati in modo irregolare), tali da pregiudicare l’iter amministrativo per l’ampliamento della discarica – vengono messi da parte. Longo giustifica al procuratore capo la nomina dei consulenti esterni con i ritardi nell’azione del Noe, cosa di cui però gli inquirenti non troveranno alcuna conferma. «Singolari – si legge nell’ordinanza di arresto – risultano le scelte dei consulenti, che non solo non avevano alcuna particolare competenza specifica del settore, ma addirittura uno, il Verace, aveva fatto parte dello stesso Dipartimento regionale, seppure di un altro servizio, che si era espresso in termini favorevoli al rilascio dell’autorizzazione all’ampliamento della discarica». 

Dell’incompatibilità di Verace parlano davanti ai magistrati di Messina anche l’allora dirigente regionale ai Rifiuti Marco Lupo e il suo collaboratore Antonio Patella. «Preciso – mette a verbale Lupo – che Faldetta, l’architetto ausiliario di Verace, si è interfacciato col mio dirigente Patella e gli ha fatto capire che io ero indagato dalla Procura di Siracusa, nella persona del pm Giancarlo Longo, perché non rilasciavo il provvedimento di autorizzazione». E qualche mese dopo, Domenico Armenio, succeduto a Lupo nel ruolo di dirigente generale dei Rifiuti, rincara la dose: «Ricordo che Patella riceveva continuamente telefonate e missive minatorie da parte dell’avvocato Calafiore. Per tale motivo Patella appariva mollo turbato, in ragione delle minacce di denunce di tipo penale e di richieste di risarcimento danni».

Con questo clima si arriva al 17 agosto del 2015, quando proprio Verace, nominato dal Tar di Catania commissario ad acta per la pratica di ampliamento, concede il via libera alla seconda vasca. Quella dove oggi confluiscono rifiuti dalla provincia di Siracusa e non solo. «Abbiamo ripreso l’attività a esclusione del trattamento dei rifiuti pericolosi – spiega l’avvocato Francesco Carpinato, amministratore giudiziario della Cisma – da quando ci siamo noi abbiamo smaltito oltre 600mila euro di percolato. Questo impianto, se gestito con efficienza, è fondamentale per il territorio. Senza, si rischierebbe un disastro ambientale. Nel frattempo abbiamo fatto alla Regione richiesta di revisione e di verifica, vogliamo essere in regola e servono risposte. Le eventuali responsabilità penali – conclude – verranno accertate dalla magistratura». 


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