Ha dieci anni, è uno dei trombettisti dell'orchestra infantile Falcone e Borsellino e ha alle spalle una storia difficile. Segnata dall'incidente che ha reso non autosufficiente sua madre, da allora ricoverata in Emilia Romagna a causa della mancanza di centri adatti in Sicilia. Fino all'apertura dell'unità speciale al Santo Bambino
Disabili, il nuovo reparto che riunisce le famiglie «Mattia, dopo quattro anni vicino alla mamma»
C’è la tenacia di un legame, di una famiglia, che non si è lasciato sopraffare dalle avversità, ma anche la sensibilità delle istituzioni sanitarie dietro l’apertura della prima Suap – Speciale unità di assistenza permanente destinata a soggetti con gravi disabilità totalmente non autosufficienti – della città di Catania, all’ospedale Santo Bambino. Si tratta di un reparto destinato all’accoglienza di pazienti in stato vegetativo o di minima coscienza a seguito di gravi lesioni cerebrali – si stima che in Italia siano in totale circa tremila – fondamentale dunque per garantire il miglior livello di sostegno a persone che, per le loro condizioni così delicate, necessitano di cure «ad alta intensità assistenziale». Affinché partisse, però, è servita la storia del piccolo Mattia, dieci anni, e della sua mamma oggi 46enne, paralizzata e in stato di minima coscienza da quattro anni, dopo un drammatico incidente che le ha spezzato la spina dorsale.
Fino a pochi giorni fa l’Asp di Catania non era nelle condizioni di assicurare tale servizio, sebbene l’unità fosse praticamente pronta da due anni, per una serie di lungaggini burocratiche che avevano fatto temere il definitivo insabbiarsi del progetto. Che comprende due Suap nel comprensorio sanitario catanese: una da sei posti letto, appunto da creare in città, e l’altra da 14 all’ospedale Basso-Ragusa di Militello. Le cose sono cambiate quando l’associazione La città invisibile ha raccontato la storia di Mattia. Lontano dalla madre non solo per via dello stato di salute di lei, ma anche a causa dei tanti chilometri che separano Catania da Igea Marina, in provincia di Rimini, il luogo dove la 46enne è stata in cura fino all’inizio di luglio. Una sorte, quella di venire ospitati in Emilia Romagna, comune a numerosi malati siciliani lungodegenti, vista la mancanza di centri sanitari ad hoc sull’Isola e il risparmio che la Regione ottiene optando per il ricovero in altre strutture pubbliche, anche se distanti, piuttosto che in strutture private in Sicilia.
Tutto ciò per la famiglia di Mattia aveva però il significato di una dolorosa separazione, resa peraltro ancora più insormontabile dalla difficile situazione economica. Il padre, disoccupato 65enne, vive con il figlio ospite dalla sorella. Le loro visite a Igea si riducevano a una o due l’anno. Un distacco patito molto dal piccolo, che però oggi ha trovato fine. La donna è stata la prima paziente a occupare uno dei sei posti della Suap di Catania, seguita qualche giorno dopo da un giovane in analoghe condizioni, anche per lungo tempo ricoverato in Emilia. L’Asp ha inoltre assicurato che entro breve termine anche la Suap di Militello entrerà in funzione.
La vicenda era salita agli onori della cronaca anche grazie all’impegno della onlus La città invisibile, attiva a Catania nel campo del sostegno ai minori svantaggiati e guidata dalla presidente Alfia Milazzo. Mattia, adesso passato alla tromba, era uno dei violinisti dell’orchestra infantile Falcone e Borsellino messa in piedi dall’associazione. A favore del bambino e del ricongiungimento con la madre era stata anche promossa una raccolta fondi. «L’apertura della Suap è una vittoria di tutti – commenta Milazzo – per questa famiglia in difficoltà, per le associazioni e per lo Stato che è riuscito a dare una risposta di grande umanità». La presidente evidenzia il ruolo giocato dal direttore sanitario dell’Asp catanese, Franco Luca, «battutosi molto per questo reparto superando anche alcune resistenze».
Il ritorno della donna a Catania dopo quattro anni non è stato facile: «La signora ha vissuto il viaggio con agitazione, ma l’incontro con i familiari è stato commovente. Il loro affetto sarà fondamentale sia per il recupero della donna sia per la serenità ritrovata del piccolo». Mattia, di nuovo con al proprio fianco la mamma, può insomma tornare a concentrarsi sul suo futuro: «Da grande vuole fare il giudice perché animato da un grande senso di giustizia – confida ancora Milazzo – e d’altronde dalla sua storia familiare sta imparando proprio questo, che con coraggio e determinazione la giustizia si può ottenere». Resta un’ultima battaglia da compiere, quella per un alloggio dignitoso da consegnare alla famiglia di Mattia: «Il nostro appello va al Comune di Catania – conclude Alfia Milazzo – con una casa adeguata ad esigenze come l’assistenza domiciliare queste persone potrebbero finalmente tornare a vivere insieme».