Diario di un emigrato palermitano, cambiare vita a 35 anni «Milano la mia Mecca, salutare tutti è la cosa più difficile»

Qualche volta capita che nella vita di un essere umano avvenga un punto di rottura, il sistema va in crash, e ci si trova a ripartire da capo. Iniziare a vent’anni è facile, ma ricominciare a trentacinque non è proprio una passeggiata. Ma quando una vita va in crash l’unica cosa sensata da fare è premere reset, riavviare il sistema e ripartire. Sempre più spesso il punto di rottura, quell’evento che a un certo punto stravolge le nostre vite, è la ricerca di un lavoro, nel caso dei palermitani come me è la totale assenza di possibilità di impiego. Magari l’azienda per cui lavoravamo ha chiuso i battenti, magari per riduzione del personale, qualsiasi sia il motivo, ad un certo punto io come molti giovani palermitani mi sono ritrovato a nutrire le già numerose fila dei disoccupati (o più politicamente corretto privi di occupazione). Ed è cosi che d’improvviso ho iniziato a pormi domande del tipo: e adesso che faccio? Quanto ci vorrà per trovare un nuovo lavoro? E più importante ancora, riuscirò a trovare un nuovo lavoro?

Dopo mesi di tentativi, invio di curriculum via mail, a mano senza risposta, non mi è rimasta altra scelta che partire, cercare di resettare il mio sistema in un luogo diverso, magari dove esiste un’assistenza tecnica migliore. Ma non sono pronto per abbandonare l’Italia, lasciare la mia terra natia, soprattutto perché è una scelta dettata dalla necessità piuttosto che dal desiderio ed è chiaramente tutt’altro che una decisione facile o felice. La scelta più sensata mi è sembrata la Lombardia, Milano sarà la mia Mecca, quella città cosi grande, tanto da farmela sembrare un po’ come l’America. Dove l’economia gira e le possibilità si moltiplicano.

L’addio è sempre doloroso, ma a volte necessario, io, classe ‘81, che amo la mia terra, il mio mare, il sole, a cui è stato insegnato che la famiglia e gli amici sono la cosa più importante, per necessità mi trovo a dover uscire dalla mia comfort zone, forse non proprio preparato ad affrontare il mondo, ma con la voglia di riuscire. La parte più difficile per me sono stati i saluti, per carità so di non essermi arruolato per una guerra (anche se un po’ mi sento cosi) ma salutare fino a data da destinare la mia famiglia, gli amici, quei luoghi cosi familiari che mi hanno accompagnato per tutta la vita. Sicuramente posso annoverarlo tra le cose più difficili che abbia mai fatto. Cosi mi ritrovo un trentacinquenne spaventato del futuro su di un aereo che mi porterà lontano da casa, a 1496,71 km per l’esattezza, con la testa piena di domande e una coltre di nebbia davanti. Non vi posso negare che quell’ora e trentacinque minuti mi è sembrata un’eternità, in quel volo non ho potuto fare a meno di guardarmi attorno chiedendomi quanti di quei passeggeri, tra quelle persone stia affrontando il mio stesso traffico di domande, mi chiedevo quanti tra quegli esseri umani avessero preso un biglietto di sola andata verso il cambiamento, verso l’ignoto, non posso neanche negare di aver pianto e tanto, in quell’ingorgo di domande nella testa una era diventata la più dominante: riuscirò a essere felice in una città come Milano?

Ma oltre lo spavento, la paura di non riuscire, quello che mi accompagna verso una nuova vita, una nuova città è la speranza, quella vocina che m’incoraggia, la stessa vocina che mi ha spronato a prendere un aereo, che mi ha dato il coraggio di rimettere la mia vita in gioco, che nonostante i limiti ci possa essere un roseo futuro anche per me, che lasciare Palermo, la mia terra non sia stato un errore, ma un trampolino di lancio per qualcosa . Per me, adesso su quell’aereo, Milano non è solo un’oscura signora, non solo almeno, Milano adesso è quel posto che potrebbe diventare il ponte tra ciò che sono e ciò che potrei essere. In fondo so che qualsiasi cosa decida di fare, che sia un nuovo lavoro, un trasferimento è soltanto un passo in più verso ciò che sarò da grande.


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