Derby nel sangue. E non è la prima volta

Maggio 2006: lo scandalo intercettazioni fa intuire che qualcosa di sconvolgente sta per venire alla luce nel mondo del calcio.

14 maggio 2006: la Juventus vince a Reggio Calabria e conquista il suo 29° scudetto, ma sa già che questo, come il precedente, non verrà mai aggiunto all’albo d’oro.

Agosto 2006: i processi scaturiti da Calciopoli (o Moggiopoli che dir si voglia) decretano la retrocessione di Juventus, Lazio e Fiorentina in B con penalizzazioni mentre penalizzazione di 30 punti al Milan per la stagione appena conclusa e 8 per quella alle porte. I vari ricorsi porteranno poi alla retrocessione alla serie cadetta della sola squadra bianconera e la riammissione di gigliati e biancocelesti al massimo campionato.

Dopo uno scandalo del genere l’indignazione era tanta: “Perché andare allo stadio? Perché appassionarsi tanto per una cosa che in fondo è decisa in partenza?” era il pensiero della maggior parte dei tifosi, delusa dal fatto che qualcuno vedesse “le cose contingenti anzi che sieno in sé“, avendone però già deciso l’esito.

2 febbraio 2007: l’indignazione è ancora maggiore; Catania-Palermo, il match più atteso della ventunesima giornata, posticipato alle 18.00 del venerdì per l’imminente festa patronale, finisce nel sangue.

I tifosi rosanero imbottigliati nel traffico si perdono la prima frazione di gioco, quelli etnei già all’interno del Massimino e furiosi per le decisioni arbitrali a dir poco discutibili. Il finale sembra scontato: i soliti tafferugli a cui siamo abituati ad assistere quando si scontrano le siciliane.

E invece no, stavolta si supera il limite, la partita viene sospesa per oltre 30 minuti a causa del lancio di lacrimogeni (attenzione, non fumogeni) e nei “soliti tafferugli” ci scappa il morto: Filippo Raciti, ispettore capo della squadra mobile di Catania, viene colpito al volto da una bomba carta e muore poco dopo in ospedale.

Immediata la decisione, giusta e ineccepibile, di sospendere tutti i campionati, dalla serie A alle giovanili, con effetto immediato e a tempo indeterminato.

A questo punto il pensiero va, ovviamente, alla famiglia di chi ha sacrificato la propria vita per garantire un servizio, per far sì che lo svolgimento di una partita tanto attesa quanto celebrata fosse regolare.

Ma un altro pensiero, scontato e spifferato su ogni quotidiano, dibattito televisivo e mass media in generale è: “è davvero necessario che ci rimetta la vita qualcuno perché cambi qualcosa e si senta parlare di rivoluzione?”. Io una risposta ce l’ho: “No. Purtroppo no”. La mentalità del tifoso (ok, ok, è vero, quelli non si chiamano tifosi). La mentalità dell’idiota permane, nonostante il tempo passi e le tragedie si susseguano: nel giugno 2001, durante la finale play-off valida per la promozione in B, Tonino Currò, tifoso messinese, muore dopo essere stato colpito da una bomba carta scagliata dalla curva riservata agli etnei.

Nel settembre 2003, Sergio Ercolano, muore dopo essere precipitato da un’altezza di nove metri, prima del derby Avellino-Napoli.

Nella stagione 2005/2006 una tifosa doriana viene colpita al volto da un razzo scagliato dalla curva locale (quella ascolana). Fortunatamente si salva.

Ma andando a ritroso ci si rende conto che i precedenti sono tanti; uno fra tutti: il 29 gennaio 1995, allo stadio Luigi Ferraris di Genova è in programma Genoa-Milan. Prima dell’inizio della partita ci sono degli scontri tra tifoserie (idioterie è più corretto?) e si parla di alcuni feriti e tre morti. La voce risulta infondata, almeno in parte, perché in realtà un tifoso genoano, Vincenzo Spagnolo, muore in ospedale dopo essere stato accoltellato. Anche in quel caso il campionato venne bloccato ma, a quanto pare, nulla è cambiato o, se preferite, aveva ragione Nietzsche: rissa chiama morto, morto chiama tolleranza zero, tolleranza zero chiama colpo di spugna e punto e a capo in un ciclico susseguirsi di stragi.

Un ultimo pensiero, rabbioso, va a chi dovrebbe fare le leggi e non le fa, o meglio, a chi una volta fatte non le fa applicare, a chi tutela il cattivo e non il buono: Perché le forze dell’ordine devono essere dotate solo di uno scudo e di un misero manganello? Perché gli si vieta l’uso di armi da fuoco, seppur con proiettili di gomma? Perché chi lancia un motorino da una curva o un fumogeno al portiere avversario di turno (sì, sono interista, ma in questi casi la fede non conta, come non conta se l’assassino di turno sia di Palermo o di Catania) è, non solo a piede libero dopo un paio di settimane, ma anche senza un’ordinanza che gli vieti l’ingresso negli stadi a tempo indeterminato?

E, anche se non c’entra (a guardare le immagini un po’ sì, lo scenario sembra uguale), perchè Carlo Giuliani è diventato un eroe? Non sarebbe stato un assassino anche lui? Invece no, ha sparato prima il poliziotto, per salvare la vita a sé e a chi era con lui in quella maledetta camionetta. E ora girovaga di tribunale in tribunale. Purtroppo in Italia è così: se ad uccidere è il cattivo la fa franca, se invece è il buono (peraltro aggredito dal cattivo) allora sarà subito individuato, identificato e processato.

Perdonerete lo stile non proprio giornalistico, ma di fronte a situazioni come queste la razionalità cede inevitabilmente il posto alla rabbia e all’esigenza di sfogarsi.

Redazione Step1

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