Dalla denuncia di una imprenditrice per tentata estorsione al sequestro milionario all’uomo vicino ai Santapaola

Tre bar, una ludoteca, una discoteca e quattro immobili. Tutto nel quartiere Nesima, a Catania. E poi anche un’impresa di noleggio di veicoli a Giardini Naxos (nel Messinese), undici veicoli e numerosi rapporti finanziari. È il patrimonio – dal valore di oltre 1,5 milioni di euro – sequestrato ieri a Giovanni Fraschilla. Il 60enne ritenuto vicino alla famiglia mafiosa Santapaola di Catania. Una misura a cui si è arrivati dopo la denuncia di due imprenditori: Angelo Salice e sua figlia Lucia. Da quella denuncia è partito un processo – che adesso è nella fase dibattimentale e che MeridioNews aveva raccontato già dal momento dell’udienza preliminare – in cui è finito alla sbarra proprio Fraschilla. Non da solo, ma insieme a suo cognato Cesare Marletta, a Nicolò Andrea Corallo, ai gemelli Angelo e Vincenzo Carmelo Pistorio e a Francesco Santapaola (detto Coluccio), che è il cugino del più noto Nitto Santapaola.

«Fin dal primo momento, abbiamo accompagnato e sostenuto gli imprenditori che hanno deciso di denunciare consentendo di individuare persone organiche al clan Santapaola – dichiara Nicola Grassi, il presidente dell’Asaec, l’associazione antiestorsione catanese – Ricordo ancora quando sono venuti nella nostra sede: era un freddo pomeriggio di novembre di qualche anno fa. Li abbiamo rassicurati e accompagnati alla squadra mobile per denunciare ciò che era loro accaduto». Ovvero, di essere stati minacciati e aggrediti all’interno di un bar in corso Indipendenza che avevano appena acquistato e per cui sarebbero stati costretti a «mettersi a posto» e a pagare degli assegni postdatati e senza beneficiario (15 assegni da 3000 euro e due da 2500 euro, per un totale di 50mila euro). «Ricordati che questo bar è della famiglia. Tu parli assai. Ti devi mettere a posto. Tu ti devi comportare bene, altrimenti t’astruppiamu (ti facciamo del male, ndr)». La minaccia arriva dopo una serie di avvertimenti telefonici e prima dell’aggressione fisica.

È l’ora di pranzo del 6 giugno del 2014 quando Fraschilla, Marletta, Corallo entrano nel laboratorio del bar e minacciando Salice che si sarebbero appropriati dell’attività e strattonandolo fino a farlo cadere a terra. Il pomeriggio, stando a quanto messo nero su bianco nella denuncia, a tornare sarebbero stati i due gemelli Pistorio con la pretesa di riscuotere le somme. Nonostante i fermi inviti di Lucia Salice a lasciare il locale, i due si rifiutano e restano. «Dov’è quel cornuto e sbirro di tuo padre? Esci fuori che noi siamo venuti a prendere il bar». La donna, che è anche incinta, non indietreggia di un passo e per questo viene picchiata con schiaffi e percosse. Ad aspettare fuori dal locale ci sarebbero stati anche Marletta e Fraschilla. Dieci giorni dopo, è proprio quest’ultimo che insieme a Santapaola dà appuntamento ad Angelo Salice in un locale in via delle Medaglie d’Oro. «Ti sei comportato male, il bar è della famiglia», avrebbe ribadito Fraschilla con l’eco di Santapaola che, secondo l’accusa, avrebbe fatto intendere di essere intervenuto nel suo ruolo di esponente di vertice della famiglia mafiosa

«La denuncia è l’unico mezzo che può liberare dalla prepotente violenza mafiosa – ribadisce il presidente di Asaec – Per questo, continueremo a sostenere il coraggio di chi decide di denunciare sperando possa sollecitare chi è indeciso. Denunciare conviene sempre: da una parte – spiega Grassi – per non cedere a ricatti e connivenze mafiose che rendono schiavi e finiranno con risucchiare l’attività commerciale e, dall’altra, perché permette di accedere ai benefici economici e processuali messi a disposizione dallo Stato».


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