De Benedetti, l’imprenditore mordi e fuggi…

Nei giorni scorsi i giornali sono stati riempiti di notizie circa i “problemi” e le “soluzioni” delle imprese che fanno capo alla famiglia De Benedetti. L’anomalia, come abbiamo scritto nei giorni scorsi, probabilmente è stata dovuta al fatto che i due maggiori quotidiani che hanno scritto della vicenda sarebbero uno sotto il controllo della stessa famiglia De Benedetti e l’altro sotto il controllo delle banche che hanno prestato soldi all’impresa controllata dalla famiglia De Benedetti, imprenditore italiano (che, però, risiede in Svizzera..).

Forse, però, a ben guardare, l’ “affare Sorgenia” potrebbe essere solo la punta dell’iceberg. Tutta la carriera dell’ ‘ingegnere’ parrebbe essere nascosta dietro un alone di mistero e di eventi inspiegabili.

Il nome di Debenedetti (questo è il cognome del padre che, non si sa perché, fu cambiato in De Benedetti proprio con Carlo) venne alla ribalta intorno alla metà del secolo scorso. Nel 1959 l’ ‘ingegnere’ inizia a lavorare nell’azienda di famiglia, la Compagnia Italiana Tubi Metallici Flessibili. Alcuni anni dopo insieme al fratello Franco, futuro senatore, acquisisce la Gilardini, una società quotata in Borsa che fino ad allora si era occupata di affari immobiliari. I due fratelli la trasformano in una holding.

È in questi anni che cominciano a girare strane voci intorno a De Benedetti. Nel 1976, viene chiamato da Agnelli a svolgere il ruolo di amministratore delegato di Fiat. Forse la crisi del gruppo torinese era già iniziata, forse no. Sta di fatto che, dopo pochissimo tempo, l’ingegnere è costretto a lasciare il posto a Cesare Romiti, che si troverà a dover affrontare una delle peggiori crisi mai dovute affrontare dal gruppo torinese.

Da Torino l’ingegnere va via con le tasche piene di azioni dell’azienda che cede e, grazie al denaro ottenuto, avvia nuove attività.

La prima volta che De Benedetti finisce sulle prime pagine dei giornali è per la “storia” Olivetti. Forse, i fautori e i sostenitori del “nuovo che avanza” sono troppo giovani per ricordarla, quindi, potrà essere utile ripercorrerla. Negli anni Ottanta De Benedetti viene nominato presidente dell’Olivetti. Olivetti, nel giro di pochi, anzi pochissimi anni, passò da essere una delle più grandi aziende informatiche del mondo fino, quasi, al fallimento, “casualmente” proprio durante la guida di De Benedetti.

Davide Cadeddu (“Adriano Olivetti lo Spirito nell’impresa”), lo ricorda così: “La sua presa di possesso degli uffici: un esempio di mancanza di stile che rimarrà memorabile nelle storie del saper vivere internazionale”. E continua “L’avvento di Carlo De Benedetti non fu altro che il definitivo suggello di un processo di dilapidazione avviato già da tempo”. Le azioni crollarono da 21 mila lire a 600 lire, vennero licenziati migliaia di lavoratori e, come per Fiat, l’indotto industriale del Canavese ne risentì pesantemente. Alla fine il danno per la ditta di Ivrea si stimò fosse di 15 mila 664 miliardi delle vecchie lire. Stranamente, però, ancora una volta De Benedetti lascia il comando di un’azienda ormai in pessime condizioni, ma con le tasche piene. Il Giornale lo definì “il suo capolavoro”.

Nel 1981 entra nell’azionariato del Banco Ambrosiano, guidato allora da Roberto Calvi, di cui ricevette la carica di vicepresidente grazie all’acquisto di solo il 2% del capitale. Come sia andata a finire con il Banco Ambrosiano è storia nota…

Nel 1985 Romano Prodi, forse proprio per la sua abilità nel gestire le imprese di cui era stato a capo, lo presenta come azionista di maggioranza della Sme, che definisce “Perla del gruppo Iri”. Proprio in quel periodo cominciano gli scontri con Berlusconi, sostenuto da Bettino Craxi. Ancora una volta avviene qualcosa di strano: l’azienda acquistata dopo una strenua lotta a colpi di rilanci miliardari (di lire) per una somma intorno ai 500 miliardi (di lire) viene rivenduta pochi anni dopo a 2000 miliardi, fatta a pezzi e anche grazie all’intervento dell’Iri (e quindi dei soldi degli italiani)…

Più d’un esperto di finanza rimase sorpreso. Era evidente che qualcosa di “anomalo” era accaduto. Un analista disse: “La vendita è incomprensibile sia da un punto di vista economico che da un punto di vista procedurale. In sordina era stato venduto il 64% della Sme per 497 miliardi. Se consideriamo che la Sme aveva una capitalizzazione di 1.300 miliardi, è facilmente comprensibile come il controllo azionario della società passava di mano per una cifra notevolmente inferiore a quanto fissato dal valore di mercato”. Eppure, stranamente, nessuno disse niente..

A ben vedere, la vita di De Benedetti pare sia stata segnata da alcuni aspetti ricorrenti. Uno dei fili conduttori della carriera imprenditoriale di De Benedetti pare sia la sua rapidità nell’entrare in un’azienda, distruggerla e uscirne. “Il suo rapporto con le società è sempre stato da cannibale – scrisse Mario Giordano -. Quattro morsi e via. Dalla Fiat se ne andò dopo 4 mesi, dal Banco Ambrosiano dopo 40 giorni. In entrambi i casi se ne uscì con tanti soldi e qualche ombra”.

Altro filo conduttore potrebbero essere le multe miliardarie (in lire) e milionarie (in Euro) che le sue imprese sono state costrette a pagare. Ultima quella del 2012, per il gruppo l’Espresso, costretto a pagare una multa di ben 225 milioni di Euro (la sentenza è stata emessa in appello, ma ovviamente, il gruppo l’Espresso ha fatto ricorso in Cassazione).

Altro aspetto ricorrente nella storia degli ultimi decenni della famiglia De Benedetti è l’atteggiamento per certi versi inspiegabile assunto dalle banche nei suoi confronti. Gli istituti di credito sono sempre stati pronti a sborsare miliardi (e questa volta in Euro) per finanziare, e lautamente, le azioni dell’ ‘ingegnere’. E ciò nonostante situazioni economiche disastrose e molto rischiose (che fine hanno fatto Basilea 2 e Basilea 3?). Nonostante un passato di aziende distrutte che dovrebbe costituire una sorta di codice rosso per qualunque analista finanziario, l’ ‘ingegnere’ è sempre riuscito a trovare banche (e non una, ma molte e tra le maggiori) pronte a sostenere economicamente le sue imprese.

Ma c’è anche un altro aspetto della vita di De Benedetti di cui i giornali hanno parlato poco. Le scelte di De Benedetti sono state spesso oggetto di indagini penali e di processi dagli esiti contrastanti e a volte sorprendenti. Anni fa De Benedetti fu rinviato a giudizio per concorso in bancarotta fraudolenta. Venne condannato in primo grado e in appello, ma le due sentenze vennero annullate dalla Cassazione.

In carcere, ma solo per pochi giorni, De Benedetti finì, invece, per storie di tangenti pagate dal suo gruppo. Storie di un concusso, insomma. E non di un grande corruttore, com’è stato descritto nell’ordine di custodia cautelare” (Il Corriere della Sera, 3 novembre 1993). In pratica, l’ ‘ingegnere’ aveva pagato tangenti e si era giustificato dicendo che, altrimenti, non avrebbe potuto lavorare. Lo disse apertamente in un’intervista al Wall Street Journal: “Se dovessi rifare tutto di nuovo, lo rifarei: pagherei le tangenti ai politici per ottenere le commesse pubbliche”. Ovviamente, anche in questo caso (come in un altro caso che ha visto coinvolto un altro noto imprenditore italiano più di recente), seppure di fronte ad una quasi ammissione di colpa, De Bendetti, alla fine, venne assolto.

L’ ‘ingegner’ Carlo De Benedetti e il fratello, Franco, sono stati iscritti dalla Procura di Ivrea sul registro degli indagati anche per omicidio colposo, come riferisce Libero in un recente articolo. Il procedimento riguardava la morte di un’operaia dello stabilimento Olivetti di San Bernardo di Ivrea. Pareva fosse tutto finito bene per i De Benedetti. Recentemente, però, in un nuovo procedimento, si parla non di un solo caso di morte contestato agli ex vertici di Olivetti, ma di decine e per un lasso di tempo più lungo. Sarebbero almeno 21 gli operai morti o malati a causa dell’amianto degli impianti.

Ma i problemi legati alla salute e alla vita dei lavoratori per le imprese dei De Benedetti non finiscono qua. La Tirreno Power, di cui Sorgenia del gruppo De Benedetti fu azionista di maggioranza dal 2007 al 2011, è da tempo all’attenzione degli investigatori che avrebbero ipotizzato il reato di omicidio colposo (per ora “ufficialmente” contro ignoti). I risultati di due indagini durate un anno e mezzo dimostrerebbero che le emissioni degli impianti della Tirreno Power potrebbero aver causato, tra il 2000 e il 2007, un numero di morti molto superiore alla media (253 morti in più per patologie cardiache e 102 per malattie respiratorie). A cui si devono aggiungere oltre 2000 ricoveri in più rispetto al normale, tra il 2005 e il 2012, per patologie respiratorie e asma.

Come è stato possibile tutto ciò?

Continua…

Governo Renzi ed Eni mobilitati per salvare dal fallimento Sorgenia di Carlo De Benedetti?

 

 

 


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