Dalla-De Gregori, due marinai a Taormina

“L’orso che balla e la scimmia che suona”, Francesco De Gregori e Lucio Dalla, tornano sul palco, a trent’anni da Banana Republic, con “Work in Progress”, un tour che prevedeva solo due tappe, ma che da gennaio riempie i teatri di tutta Italia. Il 25 agosto è toccato al Teatro Antico di Taormina.

Il rischio era quello di assistere ad una nostalgica commemorazione dei bei tempi andati, di vedere due cantautori rispolverare i vecchi successi per riempire nuovamente i teatri. Pericolo scampato: al Teatro Greco l’atmosfera non era affatto ingiallita dal tempo. «Stasera vi faremo sentire delle belle canzoni, faremo una spettacolo straordinario», promette De Gregori dopo i primi applausi, e continua: «Veniteci appresso, fate finta di essere ad una gita scolastica, anche se ci sono molti ripetenti».

Iniziano con “Tutta la vita” e “Titanic”. Il cantautore romano entra sornione, abito nero, occhiali scuri e cappello rosso, abbraccia la chitarra e interpreta i suoi brani con il solito pudore di chi diffida ancora del pubblico e ha paura di vedere scivolare le sue canzoni di bocca in bocca. Dalla, invece, si concede con meno riserve, con la sua esuberanza e semplicità. Il concerto si rivela un continuo dialogo tra i due artisti e si ha l’impressione di aver preso parte ad una cena per nulla formale. La sensazione è quella di sbirciare dalla porta del loro camerino e sorprendere due amici che si divertono a “fare delle loro voci un unico suono”, come dice Dalla. Cantano insieme le canzoni con cui hanno percorso l’Italia, quelle canzoni che l’Italia l’hanno raccontata, “La leva calcistica della classe ‘68”,  “Santa Lucia”,  “La storia siamo noi”, “Viva l’Italia”, “La valigia dell’attore”, e ancora “Il bandito e il campione”, “Anna e Marco ”, “Piazza Grande”, “Caro amico ti scrivo”, “Futura”, “Nuvolari”.

Cantano con il rispetto e la complicità di chi si è emozionato ascoltando per la prima volta le canzoni dell’altro. Come quando Dalla – lo racconta lui stesso – ascoltò “Santa Lucia” e pensò «perché questo capolavoro non l’ho scritto io?». Poi spazio ai brani inediti, una versione di De Gregori del grande successo “Gigolò”, “Non basta saper cantare” e “Gran turismo”, una canzone che parla di viaggi. «I viaggi – spiegano – non sono più quelli di una volta, oggi i viaggi si comprano, non si fanno e si è passeggeri più che viaggiatori. Si arriva sul tetto del mondo e senza nemmeno guardare ci si ferma un istante per fotografare».

Restano soli sulla scena solamente quando, luci basse e sguardo sui tasti del pianoforte, cantano l’uno “La donna cannone”, l’altro “Caruso”. Standing ovation e applauso prolungato dopo “Rimmel”, che De Gregori vuole condividere con il pubblico: «Questa è una vecchia canzone, quando l’ho scritta, tanti anni fa, non pensavo che una sera mi sarebbe piaciuto cantarla con altri. Poi però le cose cambiano, le atmosfere cambiano, e ho pensato che avrei potuto cantarla con Dalla che tutto sommato se la cava».

Nessuna eco di “Ma dove vanno i marinai?”, non ci sono tracce di Banana Republic, quel tour del ’79 che aveva portato la musica d’autore negli stadi, alla fine di un decennio in cui il silenzio era interrotto solo dal rumore della contestazione.

Sul palco, insieme a Dalla e De Gregori, Bruno Mariani (chitarre), Alessandro Valle (pedal steel guitar), Alessandro Arianti (tastiere), Fabio Coppini (tastiere), Guido Guglielminetti (basso), Gionata Colaprisca (percussioni), Maurizio Dei Lazzaretti (batteria), Emanuela Cortesi (vocalist) e Marco Alemanno (vocalist). «Questa sera non occorreva alcuna scenografia, Mimmo Paladino non si offenderà, ma abbiamo alle spalle un paesaggio stupendo», dice De Gregori indicando il mare oltre quel teatro che fa da cornice alla loro reunion.

Unico tocco scenografico, sbarre catarifrangenti a segnalare lavori in corso, perché il tour dei due artisti nasce per gioco ed è in continuo divenire, e perché questo cantiere ospita due generazioni, quella di Banana Republic e quella di Work in progress, che si incontrano per continuare a costruire e lavorare insieme, in un Paese in cui “Viva l’Italia” sembra scritto ieri.

Appesi qua e là sulla scena e sugli strumenti ci sono dei cappelli. Ma non serve vestirsi da cantautori, loro lo sono davvero.


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