Caro Luciano, potere della comunicazione… google mi ha recapitato il tuo articolo su step 1 e ho potuto leggere l’interessante dibattito che avete avviato al vostro interno. Consentitemi un breve intervento, per aver partecipato con grande piacere a qualcuno dei vostri laboratori e, tutto sommato, per essere stato uno di quelli che con l’arte del comunicare ci ha anche fatto qualche buon business…
Mi incuriosisce l’idea che un corso di laurea importante e “trendy” possa essere definito una “beffa”, ma non mi sorprende. Sai che da qualche anno ho aggiunto alla mia esperienza di comunicatore per le imprese e per i territori organizzati, quella di “spin doctor” per la politica; ero e sono convinto che per questo sia un campo inesplorato da queste parti. La politica, in tutte le sue forme, rimane un settore sul quale non si è vincolati ai limiti del prodotto, alla forza dei budget, alle rigide organizzazioni aziendali, al potere dei consigli di amministrazione e al turn over dei manager. Qui comanda il mestiere, il tuo rapporto con l’ideologia di riferimento, la tua capacità di saper raccogliere i feedback e quello che Philip Kotler definiva “helicopter view”, l’abilità di vedere l’ordine delle cose da punti di vista unici e da piani sfalsati.
Poi, di colpo, mentre valuti gli scenari e costruisci le migliori ipotesi per elevare il tuo mestiere, scopri che il portavoce (incarico sognato da ogni buon comunicatore) dell’ex vice presidente del consiglio, un giornalista di Milazzo, impegnava buona parte del suo tempo a portare veline in giro per i palazzi delle istituzioni. Da un lato puoi pensare che si tratta di scienza delle comunicazioni anche questa; forse è un dei tanti laboratori… Ma ti assicuro che invece è una “beffa” a me, a voi; la beffa che ti ricolloca l’ordine delle cose.
Una beffa che ti fa ripensare ai tanti comunicati che hai scritto su depilatori che non depilavano, su tecnologie “innovative” ma non innovate, su alimenti che non alimentano e stabilisci che per occuparsi di media, di mediatici, di mediazioni forse più che una beffa converrebbe essere “beffardi”.
Condivido ciò che ha scritto Enrico Iachello, e anche il tuo punto di vista, non fate di questi corsi di laurea un imbuto omologato dalle tematiche uniche e proiettato solo su questa malsana idea delle “esigenze del mercato” locale. Beffate i vostri 5.000 su tematiche alte, improbabili, improponibili; solo così potrete mettere in giro 5.000 beffardi che sapranno valutare realmente le potenzialità dei singoli settori sui quali andranno ad operare.
Sforzatevi, siete già molto avanti e ho visto nei laboratori che ho avuto la fortuna di condurre la qualità di parte dei vostri 5.000. Costruire dei buoni comunicatori significa non avere assolutamente idea di ciò che essi andranno a fare; ma dovrete formarli su tutto ciò che essi potrebbero fare.
Il neurologo francese Jean-Martin Charcot convinse Sigmund Freud che le idee si potevano impiantare con l’ipnosi, poi venne il tempo delle manipolazioni e si sviluppò quella tecnologia colossale che oggi caratterizza il sistema dei media. Proprio mentre tutti ci convincevamo che questo sarebbe stato il sistema che avrebbe regolato la nostra esistenza, arrivò la fine del logo, il crollo delle leadership, la fine della credibilità dei mezzi d’informazione, l’avvento di quella libertà tecnologica con la quale ognuno di noi poteva raggiungere e trasmettere una sua verità. Mai come in questi tempi, la comunicazione è diventata direttamente proporzionale alla conoscenza. Saper comunicare bene, significa poter superare quel “digital divide” che in un futuro relativamente prossimo diventerà il vero conflitto di classe all’interno della nostra società.
Confrontatevi, ma non fate del vostro territorio un limite. Ma non pensiate che tutto si svolga solo a Milano o Roma o Londra o New York. In Venezuela, nel tempo dell’elezione e della rielezione di Hugo Chavez (2002/2003), diventò un caso il sistema mass mediatico che si venne a creare tra le opposte fazioni. I dibattiti online e le chat erano zeppi di riferimenti ai servizi dei giornali; i partecipanti inserivano foto e immagini provenienti da agenzie di stampa o emittenti locali per provare le loro affermazioni. Furono creati siti web per promuovere i vari gruppi e facilitare la comunicazione fra i sostenitori in tutto il mondo. In strade, uffici, case, e on-line, la gente discuteva di politica e del modo con cui i media seguivano i fatti. Ma il conflitto non era limitato alle discussioni a voce o per iscritto. Partiva dalle parole e diventava attacco fisico o legale contro le redazioni, i giornalisti e gli editori.
La libertà di espressione è essenziale per la democrazia e i media possono giocare un ruolo vitale nel dare forma al discorso nella sfera pubblica e anche in molti aspetti dell’impresa privata. Ci vogliono professionisti esperti capaci di utilizzare i media efficacemente. Serve solo una buona organizzazione della formazione di base e la “visione” di chi ha capito parte di tutto. Questo processo è ormai irreversibile.
Grazie per l’ospitalità e buon lavoro a tutti.
Paolo Magnano
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