Adesso che l’Udc si è alleata con il Pd siciliano, il suo leader, il Senatore Giampiero D’Alia, avverte il bisogno, quasi mistico, di rinnegare le proprie radici. Così, mentre a Roma, il suo ‘capo’, Pierferdinando Casini, ammette di andare a trovare Totò Cuffaro in carcere, D’Alia, da buon rinnegato, dice di aver ripudiato già da tempo il ‘cuffarismo’.
Peccato, però, che nel suo partito, proprio mentre lui rinnega Cuffaro, milita un parlamentare regionale – Nino Dina – che è il prodotto del ‘cuffarismo’ a 24 carati.
Dina, a parte il passato di calciatore – difensore con un tocco di palla ‘sporco’, anche se tutto sommato efficace – era, politicamente parlando, un signor nessuno. Ed è stato Cuffaro che, come si dice dalle nostre parti, lo ha fatto – sempre politicamente parlando – ‘cristiano’. Senza Cuffaro che se lo ‘caricava sulle spalle’, Dina il seggio all’Ars lo avrebbe visto con il cannocchiale.
Oggi Dina, come già ricordato, milita nell’Udc di D’Alia. Con lo stesso D’Alia che dice di aver rinnegato il ‘cuffarismo’ in tempi non sospetti.
Da qui una domanda schitta schitta: ci dica, Senatore D’Alia, se lei – come dice – ha rinnegato il ‘cuffarismo’, perché si tiene tra le proprie file un politico – il già citato Nino Dina – nelle cui vene scorre copioso sangue ‘cuffariano’?
Ci faccia capire, Senatore D’Alia: lei ripudia il ‘cuffarismo’ tenendosi i voti dei ‘cuffariani’?
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