Orlando vorrebbe che gli istituti che si chiamano come il re che firmò le leggi razziali cambiassero riferimento, il consigliere leghista Gelarda se la prende col criminologo che odiava i meridionali. FareAla: «Non va consentito a questi spettri di riposare in pace»
Da Vittorio Emanuele III a Niceforo, tutti i nomi scomodi «Non bisogna cancellarli, ma conoscere cosa hanno fatto»
Ha fatto discutere nei giorni scorsi la richiesta del sindaco di Palermo Leoluca Orlando di cambiare il nome dei due istituti cittadini intitolati a Vittorio Emanuele III, un’istanza che si rifà alle parole della senatrice a vita Liliana Segré all’indomani della commemorazione dell’ultima giornata della memoria. Vittorio Emanuele III, infatti fu colui che appose la propria firma sulle leggi razziali diventandone, di fatto, complice. «Faccio mio l’appello già sottoscritto da tanti, non solo nella comunità ebraica – ha detto il sindaco – perché credo che anche questo sia un modo per riconoscere quanto grave, quale impatto tragico sulla vita di migliaia di italiani ebbero quelle leggi nefande, che sono una macchia nella storia del nostro Paese».
Parole condivise da alcuni, ignorate da altri, ma che hanno fatto breccia nel consigliere Igor Gelarda, capogruppo della Lega in sala delle Lapidi, che non ha perso l’occasione per rilanciare di fronte alla provocazione del sindaco. «Il reale omino di casa Savoia fu firmatario delle leggi razziali e colpevole di molte altre cose, per cui merita l’oblio – la replica del leghista – Ma il tentativo di sviare l’attenzione dei media dal fatto che la città è ormai al collasso, ha probabilmente fatto dimenticare al sindaco che Palermo è l’unica città ad avere intitolato una strada ad Alfredo Niceforo, un criminologo e scienziato di origini catanesi. Un accademico blasonato per i tempi, che può essere considerato il teorizzatore del cosiddetto razzismo antimeridionale».
Per usare ancora le parole del consigliere, Niceforo «affermò anche che il maggior numero di omicidi commessi in Sicilia, Calabria e Sardegna fosse da imputare agli elementi africani e orientali che si trovava nei meridionali, facendone diventare l’indole più violenta e pronta al crimine». In realtà, le schermaglie, seppur deboli, tra sindaco e consigliere d’opposizione, altro non hanno fatto che riportare all’attualità un tema quanto mai spinoso, quello dei nomi scomodi che costellano la toponomastica. Un dazio al quale la città di Palermo non si sottrae. Tutt’altro. Tra questi ci sono senza dubbio i nomi che ricordano i membri della dinastia Savoia, su tutti quello di Umberto I, anche lui forte dell’intitolazione di un liceo classico in città, oltre che del Foro Italico; il re che premiò con la Gran croce dell’ordine militare il generale che a Milano usò i cannoni contro la folla che protestava per il pane.
Ma monarchi a parte la lista dei personaggi controversi a cui è stata intitolata una via o una piazza è nutrita. Da Nicolò Turrisi, più volte accusato di simpatie per alcuni ambienti mafiosi, a Luigi Cadorna, generale che nella battaglia di Caporetto mandò a morire migliaia di soldati italiani in un assalto frontale senza senso contro gli austriaci, passando per Cristoforo Colombo, che fuori dall’avventurosa narrazione storica per cui tutti lo conoscono, si macchiò di crimini terribili nel nuovo mondo, fino ad Anwar Sadat, presidente egiziano che sì, fu premio Nobel per la pace, ma subito dopo si contraddistinse per la sua nomina a vita alla guida del Paese e per le sue politiche insensibili a libertà di stampa e diritti umani. Per non parlare delle vie che ancora oggi ricordano eroicamente il periodo del colonialismo fascista, uno dei più bui della storia d’Italia, tra massacri, stupri e la sperimentazione delle prime armi chimiche a essere usate contro i civili.
«Ho seguito la posizione de sindaco – dice a MeridioNews Luca Cinquemani del collettivo FareAla, che da anni partecipa alla Guerriglia Odonomastica, la “rivolta contro i nomi che abitiamo, per conoscere le nostre città”, per utilizzare le parole del collettivo WuMing – Noi non cancelliamo mai i nomi delle strade, ma tentiamo in qualche modo di indicare informazioni legate a fatti storici e a fatti coloniali. Vogliamo rendere visibili le tracce del passato coloniale e fascista difficilmente percepite dalla gente, proponendo una discussione. Non vogliamo cancellare totalmente la memoria, ma creare nuove narrazioni per collegarle al passato». Era il 2018 quando FareAla e WuMing 2 idearono la campagna Viva Menilicchi, che consisteva nello spiegare attraverso frasi e immagini, quanto terribili potessero essere i titolari del nome della via in cui abitavano, dalla centralissima via Generale Magliocco, nel salotto buono della città, dedicata al capo dell’aviazione fascista che guidò i bombardamenti chimici in Etiopia.
«Sì, è una vergogna che vi sia una scuola che celebra Vittorio Emanuele III, che non si pentì mai in vita di avere firmato le leggi razziali – continua Cinquemani – Ma sarebbe bello che da questo nascesse una discussione che coinvolga la scuola stessa, gli studenti, perché il passato coloniale italiano non è mai stato affrontato seriamente. Quello della toponomastica è un territorio spinoso e ricchissimo di cristallizzazioni di momenti che si celebravano nella storia, ma che poi si neutralizzano. Se penso a Passo di Rigano a Palermo, ci sono tantissime strade coloniali, avvenuta non certo durante il ventennio, ma negli anni Sessanta, quando evidentemente c’era qualche nostalgico all’ufficio toponomastica». E in effetti nella borgata i nomi coloniali si sprecano, spesso anche per la gioia dei residenti che devono spiegare a corrieri e postini che loro abitano in via Agordat o in via Ogaden, magari non conoscendo neanche i territori da cui quei nomi provengono. Persino via Dogali, dove si trova il comando della polizia municipale, ricorda una battaglia tra le truppe del regno d’Italia e quelle dell’impero etiope sul finire dell’Ottocento. E poi ancora altri teatri di scontri per le colonie africane ricordati da via Gondar, via Sciara Sciat, via Cheren e diverse altre.
«Cosa rimane di quelle identità? – conclude Cinquemani – Spettri che riposano e che bisogna disturbare, perché lì risiede tutta una serie di elementi presenti nella nostra cultura. Se nessuno sa chi era Magliocco è possibile che una parte della nostra storia sia stata dimenticata e non va consentito a questi spettri di riposare in pace. Noi promuoviamo la narrazione, il descrivere i crimini legati a questi personaggi attraverso fatti storici incontrovertibili e da qui la discussione e il confronto. Persino un nome in apparenza normale come via Rodi, in realtà spesso ricorda che l’isola è stata una colonia italiana che alla fine della seconda guerra mondiale è passata in mano ai nazisti insieme alla lista, consegnata dagli italiani, delle famiglie ebree che ci abitavano».