L'indagine Al Pacino ha riportato in carcere il 39enne, già condannato in primo grado a 14 anni per i legami con la cosca Mazzei. Durante il periodo più duro per l'economia, a causa del Covid, avrebbe raggirato tante imprese sparendo al momento di pagare
Da Scarface a Totòtruffa, la parabola di Willy Cerbo Raggiri al Nord partiti da una casa in via Capo Passero
Da Al Pacino a Totò. Da Scarface ad Antonio Paluffo, con la sua fontana di Trevi da vendere. L’ultimo capitolo della vita giudiziaria di William Cerbo potrebbe trovare adeguata rappresentazione in questa parabola cinematografica. A proporre il primo parallelismo con il protagonista del film di Brian De Palma era stata qualche anno fa la procura di Catania, arrestando l’imprenditore con la pesante accusa di essere legato a doppio filo con il clan Mazzei. Una tesi che, a inizio 2019, è valsa a Cerbo una condanna a 14 anni. Se a farlo somigliare a Scarface era stato un trono simile a quello in cui sedeva Al Pacino, a suggerire alla mente la figura di Totò nei panni del mago del raggiro Antonio Paluffo sono le truffe di cui Cerbo sarebbe stato protagonista, tra ottobre 2019 e aprile 2020, in giro per l’Italia.
Oggi 39enne, a fine settembre Cerbo è stato arrestato dalla guardia di finanza su mandato del tribunale di Rovigo. Insieme a una serie di complici avrebbe tratto in inganno una lunga serie di aziende che, confidando nello stato di apparente salute delle società dietro cui l’imprenditore etneo si celava, accettavano di rifornirlo di merce, per poi attendere invano il pagamento o tutt’al più scoprire che gli assegni ricevuti erano da considerarsi né più né meno che cartastraccia. Nel complesso, il gruppo sarebbe riuscito a incamerare prodotti per quasi un milione e mezzo di euro, causando danni alle imprese raggirate in uno dei periodi più difficili dal punto di vista economico a causa della pandemia.
«William veniva sempre accompagnato su auto di grossa cilindrata. Era vestito molto elegante, con un cappellino sportivo e aveva con sé un beauty case firmato, da cui ho visto tirare via dei soldi in contanti». È questa la descrizione che una delle dipendenti delle ditte utilizzate da Cerbo e dai suoi complici per portare avanti le presunte truffe del 39enne. A chiederle di lui sono i finanzieri. L’imprenditore, che, come ricordato dal gip veneto nell’ordinanza di custodia cautelare, in passato ha rivendicato all’interno delle aule di tribunale «il proprio rispetto per Sebastiano Mazzei», avrebbe avuto una delle basi operative a Sant’Elena, piccolo centro in provincia di Padova. «Non aveva un incarico ben preciso – ricorda un’altra lavoratrice – stava in ufficio al computer senza svolgere un vero e proprio lavoro. Non ci ho parlato spesso perché era un tipo altezzoso che non dava confidenza».
Per capire come William Cerbo è riuscito a mettere su un presunto sistema truffaldino, capace di trarre in inganno anche grosse società come Ferrarelle e Ferrero, bisogna partire da via Capo Passero, nel cuore di una delle principali piazze di spaccio di Catania. Qui, infatti, ha la residenza una delle persone accusate di avere fatto da prestanome per Cerbo. È a casa sua che nel 2019, a distanza di pochi mesi, si svolgono formalmente le assemblee dei soci della Maison Magic Food & Fruits e della Eurofinance. Le due imprese, con una storia ultradecennale alle spalle, erano state precedentemente rilevate dal prestanome. Nel giro di poco tempo le due ditte spostano la sede a Milano. Si tratta, sottolinea il gip, di un «mero indirizzo di facciata», buono a reggere il gioco che da lì a poco si sarebbe messo in moto. Ancora più fondamentale però è stato l’avere aumentato il capitale sociale – nel caso della sola Maison Magic Food & Fruits da 35mila a 780mila euro – con una serie di artifizi, tra cui l’uso di un fondo di riserva straordinaria che sarebbe stato creato ad hoc. Dal nulla. Così come, nel caso della Eurofinance, dell’utile di esercizio che, secondo le Fiamme Gialle, sarebbe stato «fittiziamente appostato». Tali mosse avevano l’obiettivo di rafforzare l’idea di solidità delle imprese agli occhi dei fornitori.
E così a cadere nella trappola sono stati in molti. C’è chi ha ceduto casse di bottiglie di olio biologico, chi ha perso novemila euro in scatole di cartone, chi materiali edile. Nella lista dei truffati ci sono aziende che vendono nastri d’imballaggio e beni alimentari. Una società ha inviato una fornitura di dolciumi per 19mila euro, senza vedere un soldo. Discorso simile per alcune ditte che si occupano di prodotti per la pulizia e di un’agenzia di noleggio auto. I raggiri, pur andando in porto, in qualche caso hanno destato qualche perplessità nelle vittime. Nel caso di Ferrarelle, una responsabile di zona ha dichiarato agli inquirenti di essere rimasta stupita della richiesta di ricevere l’acqua solo in bottiglie di plastica, pur essendo destinata sulla carta ai ristoranti. «Solo dopo ho realizzato che, in questo modo, hanno evitato di pagare la cauzione che l’azienda richiede sulle bottiglie in vetro», si legge nell’ordinanza.
In un’altra circostanza, invece, una delle imprese con cui il gruppo si presentava – al centro dell’indagine ci sono anche la Edil 3B e la Mi.La.Ni – ha ordinato un grosso quantitativo di recinzione da un’impresa specializzata. «Settecento-ottocento metri per un capannone – ha messo a verbale il responsabile della ditta – Sin da subito notai che la fornitura era parecchio strana, perché non mi venivano richiesti, per esempio, dei complementi per cambi di direzione. Solo quella fornitura di materiale non aveva, di per sé, senso». Nel caso dei beni alimentari, gli uomini al servizio di Cerbo si presentavano come rappresentanti di ditte che rifornivano crociere e grandi eventi. Al momento, però, di dover pagare avanzano le scuse più strane, tra cui l’essere state vittima di un attacco hacker che aveva azzerato il conto in banca.
L’indagine ha provato a fare luce anche sul destino della merce accaparrata. I finanzieri hanno individuato due ditte di trasporti che avrebbero avuto rapporti «equivoci» con il gruppo di Cerbo. «Potrebbe individuarsi in quella società – scrive il gip – una struttura funzionale alla ricettazione della merce, ma le indagini non hanno allo stato toccato questo punto».