Da Beirut a Parigi: diario di una vita altrove

«Sono cattolica maronita. Libanese. Araba». Questa in breve la carta d’identità di Hoda Barakat, una delle più importanti voci letterarie in lingua araba il cui ultimo libro, “Lettere da una straniera” (Ponte alle Grazie, 2006), è stato letto e commentato da Mirella Cassarino, docente di lingua e letteratura araba all’Università di Catania, durante l’ultimo incontro del Circolo di lettura organizzato dalla Facoltà di lingue.

Si tratta di una serie di lettere e elzeviri da lei pubblicati tra il 2001 e il 2002 su due rubriche (“Da lontano” e “Nei paesi degli altri”, che sono anche i titoli delle due parti in cui è diviso il libro) del quotidiano libanese al-Hayāt, raccolti in volume nel 2004 e pubblicati l’anno scorso: struggenti “reportage spirituali” alla riscoperta del proprio saldo radicamento nel popolo e nella cultura libanese.

Nel 1989, dopo anni di cruenta guerra civile, trasformatasi in “guerra contro i civili”, la scrittrice decide di abbandonare il Libano per trasferirsi a Parigi dove riesce a ricostruirsi una nuova vita insieme alla famiglia. A distanza di anni, non riuscendo a dimenticare mai del tutto ciò che ha vissuto nel suo Paese natale perché «non si esce mai indenni da una guerra così lunga», Hoda Barakat affida alla scrittura i suoi pensieri, i suoi ricordi, i rimpianti e le speranze di un’esule ormai lontana da una terra per cui nutre, in maniera incondizionata, sentimenti contrastanti di amore e odio. Emergono così i difficili rapporti con “gli altri”, i libanesi emigrati alla ricerca di un po’ di pace e serenità e i nuovi concittadini francesi, così diversi da lei nei modi di fare, nei gusti e nei costumi (piene di ironia, ad esempio, le pagine in cui parla della pubblicità tartassante che le riempie la buca delle lettere che in Libano neanche esisteva) da farla sentire a volte un’estranea.

Pagine, quelle della Barakat, ricche di considerazioni amare, che arrivano al lettore «come un pugno nello stomaco – ha affermato Mirella Cassarino – perché nate da un’esperienza estrema del dolore. La scrittura nasce in lei come rifugio dal male, scaturisce dall’impossibilità per chi vive situazioni così dolorose di capirne le cause, è un modo per ritrovare uno spazio di espressione e libertà». Memoria privata, dunque, che rimane privata anche al cospetto della Storia.

Spaziando tra i ricordi e la sofferenza per ciò che i suoi occhi hanno visto in tempo di guerra, la giornalista non risparmia dure considerazioni sui libanesi che fuori dal proprio Paese non costituiscono una comunità, soffrono nello stare insieme ed evitano qualunque momento di aggregazione. Ma non dimentichiamo che ancora oggi in Libano esiste una divisione sociale e politica in comunità, ben 17, ognuna delle quali ha un capo e leggi proprie, e i libanesi si riconoscono più come gruppi divisi che come popolo unitario.

«Non siamo una comunità né da vicino né da lontano – scrive più e più volte nel primo capitolo – la comune origine è sentita quasi come un peccato». Eppure, nonostante tali considerazioni, lei, attaccatissima alle radici arabe, nutre il timore che nell’epoca del multiculturalismo la sua cultura sia per i figli solo una tra le tante, non più veicolo identitario e serbatoio di memorie accomunanti. Per questo, racconta in un altro capitolo in cui affronta il tema del linguaggio moderno e della chat, obbliga i figli a studiare l’arabo e a parlarlo in casa, perché per l’emigrante il primo valore identitario è la lingua: «Per me la lingua – scrive – è la sola cosa che resta quando sei al di fuori della tua terra. Per questo io scrivo. I miei libri sono tutti scritti in arabo. È la mia lingua, la mia scelta, il mio ultimo paese. Il francese non è la mia lingua, né la mia lingua madre, né la lingua da me scelta. Scrivendo non potrei mai prescindere dalla cultura e dalla lingua araba e sono felice che il mio libro sia stato tradotto direttamente dall’arabo e non da una lingua intermedia, come il francese o l’inglese: non lo avrei mai permesso».

“Lettere da una straniera”, pur non essendo – a detta della Cassarino – il più bel libro della Barakat, ha rappresentato per lei una tappa importante nella sua evoluzione come scrittrice e come donna. Qui per la prima volta l’autrice non affida i suoi pensieri e le sue emozioni ad un protagonista maschile (nel primo romanzo il protagonista era un omosessuale, nel secondo un uomo “malato d’amore”), ma si mette in gioco in prima persona. «Tutti i protagonisti dei miei romanzi sono uomini. Lo faccio per distanziarmi dai miei personaggi – ha dichiarato in un’intervista – e, poiché non parlo di me, voglio essere libera di dimenticare la mia identità sessuale per essere uomo e donna insieme. In fin dei conti uno scrittore non ha sesso: è uno scrittore e basta». Ma, ha affermato la Cassarino, queste pagine, per quanto crude e amare ma al contempo ricche di vivide emozioni, non potrebbero essere scritte che da una donna.

Alla stregua del precedente romanzo, “L’uomo che arava le acque”, il messaggio tra le righe del suo libro è chiaro: dove c’è la guerra non c’è futuro, e il solo modo che abbiamo per vivere appieno il nostro futuro è quello di non dimenticare mai le nostre radici ma bensì recuperarle e tramandarle.

Hoda Barakat è nata nel 1952 in un villaggio di montagna nel nord del Libano. Ha vissuto a Beirut, dove, nel 1975, poco prima dello scoppio della guerra civile, si è laureata in Letteratura araba. Nel 1989 si è trasferita a Parigi dove vive tuttora lavorando come giornalista e direttore responsabile del giornale radio di un’emittente in lingua araba e francese. Ha pubblicato nel 1985 la sua prima raccolta di racconti brevi “Za’irat”. Il suo primo romanzo “Hagiar al-dahak”, che le è valso il Premio al-Naqid, è stato tradotto in inglese, olandese e francese; il secondo, “Ahl al-hawa” (Malati d’amore, 1993), è stato tradotto in italiano, francese e spagnolo. Il terzo romanzo “Harit al-miyah” (“L’uomo che arava le acque”, Ponte alle Grazie, 2003), ha ottenuto il prestigioso premio Naghib Mahfuz 2000 ed è stato tradotto in inglese e francese. Nel 2002 è stata insignita dal Governo francese del titolo di cavaliere. Il suo ultimo libro è “Lettere da una straniera. Da Beirut a Parigi: diario di una vita altrove” (Ponte alle Grazie, 2006, 131pp.).


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