A Nicoletta uscire dal proprio inferno domestico di abusi, durato 18 anni, non è bastato. Per riprendere in mano la sua vita ha ideato un progetto di autodeterminazione basato sulla produzione artigianale di prodotti alimentari. Un’idea che le permette soprattutto di parlare ad altre donne maltrattate. «A volte basta una frase per accendere una luce»
Cuoche combattenti, un’etichetta contro la violenza «Io sono riuscita ad andare avanti, ma tutte le altre?»
«E tutte le altre?». Non ha potuto fare a meno di chiederselo, Nicoletta. È una domanda, questa, che s’è fatta presto martellante, ossessiva nella sua testa. E da subito, tra l’altro. Da quando ha capito che uscirne da sola, dalle violenze di un compagno subite per diciotto anni, non le sarebbe bastato. Ed è questa l’idea cardine sulla quale si fonda il suo progetto di autodeterminazione, simbolicamente intitolato Cuoche combattenti, attraverso il quale lei e altre donne con esperienze simili alle spalle si occupano della produzione e trasformazione artigianale di prodotti alimentari. Un’idea, la sua, per riappropriarsi di un’autonomia che credeva di aver perduto da tempo. E come lei anche altre donne. Ogni prodotto, dalle conserve ai biscotti, dai sughi ai prodotti da forno, sono tutti accompagnati da un’#etichettaantiviolenza: «Un messaggio spesso incisivo e diretto, articolato quasi a mo’ di spot, che può davvero accendere una luce in chi se lo ritrova per le mani», spiega la stessa Nicoletta, che ha iniziato ad elaborare la situazione in cui si trovava proprio leggendo qua e là frasi come quelle che oggi ripropone attraverso i suoi prodotti.
Il suo percorso per ricominciare, reinventandosi da zero una vita fatta di lavoro e autodeterminazione, è tutt’oggi in corso, e parte dal centro antiviolenza Le Onde onlus. «Ho iniziato un percorso personale, durante il quale mi è stata data la possibilità di fare uno stage formativo e lavorativo presso I peccatucci di mamma Andrea, uno storico laboratorio di trasformazione». Un’esperienza importante per lei, «cruciale nel percorso di uscita dalla violenza», che l’ha resa economicamente indipendente e le ha permesso di riconquistare una certa libertà, rientrando in tutti i sensi nella vita. Una parentesi che per Nicoletta ha subito significato moltissimo, suscitando in lei il desiderio di realizzarsi in questo settore, inventandosi un lavoro a lunga durata, oltre a rappresentare un modo per tendere una mano anche a tutte quelle donne che sono solo all’inizio del proprio percorso di denuncia e uscita dalla violenza.
«Un modo per dare alle altre la possibilità di fare lo stesso percorso che ho fatto io e divulgare messaggi contro la violenza di genere – racconta -. Molte donne si avvicinano al centro senza aver pienamete chiaro il fatto di essere delle vittime, ma per problematiche secondarie, anche per me è stato così. Solo dopo si rendono conto della situazione e scatta una presa di coscienza. Io sto andando avanti, ma non posso non pensare a tutte le altre, l’idea di lasciarle lì, bloccate nella loro condizione, mi fa molto male». Ma un barattolo e un’etichetta scritta nel modo giusto, secondo Nicoletta, possono contribuire a veicolare il messaggio che anima il suo progetto: «Se ne può uscire». E lei ne è la dimostrazione. I messaggi allegati ai prodotti puntano a catturare l’attenzione di chiunque sia vittima di violenza, donna o uomo che sia. Perché le vittime non sono mai di un genere solo.
Tutti possono essere vittime, indipendentemente dal sesso, e le 24 etichette puntano proprio a smontare certi ruoli relazionali e quegli stereotipi che tendono a mascherare gli abusi, difficili a volte da percepire perché camuffati sottoforma di premure e ansia verso l’altro. Ma di per sé il concetto di possesso è sempre sbagliato, in tutti i casi. «È un meccanismo che ereditiamo con una cultura molto patriarcale e questo non appartiene solo all’uomo, ma anche a certe donne: molte infatti hanno un atteggiamento maschilista, perché hanno introiettato a pieno questa cultura. Anche noi siamo legate a stereotipi e ruoli che vengono da molto lontano – spiega -. Ma una persona non appartiene ad un’altra, in nessun caso». Il progetto di Nicoletta, intanto, partito in crowdfunding a ricompensa, prende sempre più forma. Vanta già il contributo di quattro aspiranti cuoche che preparano i loro manicaretti appoggiandosi, al momento, a cucine offerte in via amichevole da ristoranti e associazioni che si sono schierate a favore di quest’idea.
«Un’avventura che mi ha cambiato la vita e che continua a cambiarmela, c’è voluto del tempo, ma è un’esperienza del tutto positiva e soprattutto che diventi così anche per altre, è la cosa più importante ormai – conclude Nicoletta -. Condividere la mia esperienza significa portare un po’ di questa luce che ho avuto la fortuna di ritrovare per me stessa anche alle altre».