Cucina, guida de L’Espresso premia Licata e Ragusa Pino Cuttaia: «L’eccellenza nasce dalla generosità»

«La vita è bella», diceva qualche anno fa Roberto Benigni. E mentre il comico toscano è al seguito del premier Renzi alla corte di Obama, la sua Firenze viene invasa da chef di tutta Italia. Tra le loro fila, a spiccare è senza dubbio la figura di Pino Cuttaia, al quale la vita, oggi, sorride ancora una volta. Il licatese, infatti, è stato insignito ufficialmente dei quattro cappelli dalla guida Ristoranti d’Italia 2017 de L’Espresso. Precedono La Madia di Licata, con il massimo punteggio equivalente a cinque cappelli, solo Le Calandre di Rubano (Padova), l’Osteria Francescana di Modena, Piazza Duomo ad Alba (Cuneo), Reale di Castel di Sangro (Aquila) e Uliassi di Senigallia (Ancona). 

A fare compagnia a Cuttaia c’è, innanzitutto, un altro ristorante siciliano: Duomo dello chef Ciccio Sultano a Ragusa; sempre sul secondo gradino del podio, figurano altri otto locali sparsi per tutto lo Stivale: Casa Perbellini di Verona; Del Cambio di Torino; Hotel Rome Cavalieri-La Pergola di Roma; La Peca, di Lonigo (Vicenza); Mandarin Oriental-Seta di Milano; Taverna Estia, di Brusciano (Napoli); Villa Crespi, di Orta San Giulio (Novara); Vissani, di Baschi (Terni). Grazie ai quattro cappelli, che nella graduatoria corrispondono al giudizio «cucina eccellente», vengono nuovamente puntati i riflettori dell’alta cucina sulla città del mare. 

Ma Pino Cuttaia cosa ne pensa? È contento? «Voi siete contenti?», risponde lo chef con quella modestia che lo caratterizza da sempre. «Quello che è successo oggi – continua Cuttaia – è bellissimo. Se pensate che in Italia ci sono solo altri dieci ristoranti con quattro cappelli e che dietro alle cucine con tre cappelli ci sono grossi nomi, vedersi riconosciuto questo merito è indubbiamente una cosa che rende felici. È il risultato di sacrifici, oltre che una soddisfazione che va goduta e assaporata fino in fondo: chi sa come andrà l’anno prossimo?». 

Chi conosce lo chef licatese sa già che i sacrifici li ha fatti, li fa e li farà anche a prescindere dal numero di stelle o di cappelli; tuttavia quello di oggi rimane un successo significativo ed incoraggiante per tutta la comunità di Licata, anche alla luce delle ultime notizie che la riguardano. A proposito, cosa manca a Licata per essere all’altezza del suo figlio attualmente più rappresentativo? «Avere la consapevolezza – risponde Pino Cuttaia – di come la bellezza possa svelarsi con semplicità, di quanto la rinascita sia a portata di mano. Il cambiamento sociale si realizza attraverso una presa di coscienza civica: ognuno di noi deve fare leva sul proprio senso di appartenenza, anche solo curando la propria dimensione. Sono tante le bellezze che possono emergere con un contributo a costo zero, l’eccellenza nasce innanzitutto dal senso di generosità». 

E se Cuttaia, da una parte, ha la ricetta per Licata, dall’altra si candida al raggiungimento del quinto ed ultimo cappello messo in palio dalla guida de L’Espresso. «Non è una questione matematica – afferma lo chef – sono percorsi di pensiero e di stile che possono incontrare, nel loro svolgersi, l’attenzione dei media. Sono già contento così: pensare al quinto cappello adesso e in questa fase significherebbe partire col piede sbagliato. Preferisco stare in sordina e ringraziare ogni singolo organo di stampa che si interessa alla mia vicenda. E dunque, grazie anche a voi».

Quello raggiunto oggi da Cuttaia, modestia (sincera) a parte, rimane un risultato ragguardevole, se si considera il numero di competitors che il cuoco si è lasciato alle spalle: 36 ristoranti con 3 cappelli, 89 con 2 cappelli, 363 con 1 cappello. Tra questi ultimi c’è un altro licatese: Peppe Bonsignore de L’Oste e il Sacrestano, il quale affida a Facebook la propria soddisfazione: «Siamo felici di condividere con tutti voi la conquista del primo cappello della guida dell’Espresso. Un traguardo raggiunto grazie all’aiuto della mia squadra». Nel frattempo Pino Cuttaia torna al lavoro per raggiungere vette ancora più alte. «Speriamo che accada – commenta lo chef – per me, per Licata e per tutta la Sicilia».

Gino Pira

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