Crocetta quater, un governo nato già morto? Gli assessori che non piacciono a nessuno

Un cataclisma, ma stavolta il meteo non c’entra. Il terremoto si abbatte, peggio di uno tsunami, alle 16.51 ora in cui Rosario Crocetta, con oltre un’ora di ritardo, diffonde la lista dei nuovi assessori con le relative deleghe. Bastano pochi secondi, il tempo di scorrere l’elenco, per capire che la ricetta non sarà di ampio gradimento. 

Il primo contraccolpo è per il secondo nome della lista, Antonello Cracolici, alla fine designato all’Agricoltura. Il secondo riguarda l’indicazione di Cleo Li Calzi, che finisce in quota presidente, disorientando i meno attenti. Per il terzo, occorre arrivare in fondo alla lista. Non solo c’è Antonio Fiumefreddo, che il Pd digerisce poco e male, ma nella distribuzione delle casacche viene addirittura attribuito ai Dem. Figura anche il tecnico d’area Carlo Vermiglio, dato in quota Ncd, ma che fa storcere il naso ad Alfano. Il ministro dell’Interno lo specificherà a chiare lettere un paio di ore dopo : «Leggo da alcune agenzie di stampa che Ncd avrebbe un assessore tecnico nella giunta regionale siciliana. Ribadisco – dichiara Alfano – che noi siamo e restiamo estranei alla giunta di governo. Nessuno dei membri della giunta ci rappresenta e, nello specifico, non ho il piacere di conoscere personalmente l’illustre professionista che ci viene attribuito». 

Intanto Fausto Raciti, con tutta la freddezza di cui è capace, gela tutti: «Ci deve essere un errore nella lista». Tutto da rifare. A quel punto pare chiaro a tutti che a Crocetta l’azzardo non è riuscito, e così al governatore non resta che precisare: «È in corso un confronto con il segretario del Pd Raciti, per verificare la possibilità di allargare la rappresentanza politica in giunta, rivedendo qualche nome tra quelli precedentemente comunicati. Credo – aggiunge Crocetta – che in serata chiuderemo la questione». Sono le 17.25. Il governo è nato morto

E così, mentre Crocetta si trova a Messina per l’emergenza idrica, il Partito Democratico ne approfitta per ragionare sulle possibili soluzioni di area. Lupo continua a ribadire di essere contrario all’ingresso in giunta e torna a far circolare il nome di Maria Cirone rispetto a quello di Antony Barbagallo. Intanto, sia Concetta Raia che Luca Sammartino lasciano intendere di non essere per nulla favorevoli all’ingresso di quest’ultimo nella giunta appena nata e già destinata a essere ritoccata. «I parlamentari che all’Ars costituiscono la federazione di Sicilia futura sono fuori dalla maggioranza ma fanno comunque riferimento a Renzi, ci riuniremo in queste ore e decideremo cosa fare. È facile però immaginare che con queste condizioni è impossibile entrare nella maggioranza» è stato il monito dei due deputati. Nel frattempo, Totò Cardinale non perde tempo quando si tratta di evidenziare la titolarità della delega attribuita a Vermiglio e il disconoscimento a mezzo stampa di Angelino Alfano. Ma la serata deve ancora cominciare. Sono passate le 23 da dieci minuti, quando una delegazione del Pd arriva a palazzo d’Orleans e la notte diventa improvvisamente piccola. 

Questo il resoconto di una giornata in cui la palude è diventata stagno. Dove il particolare dell’interesse di bottega e di corrente ha prevalso sulla lucidità di mettere insieme un ragionamento e un metodo credibile. Ma cosa ha spinto Rosario Crocetta a forzare la mano in questa maniera? Perché il Pd, dopo una settimana, non è riuscito a trovare la quadra fornendo il varco per un colpo di mano non riuscito? Quanto più vicine sono adesso le elezioni? 

A coronamento di questa giornata surreale, la vicenda legata ad Antonio Fiumefreddo. Con il governatore che per la seconda volta prova a piazzarlo in giunta, correndo il rischio – così come successo nel 2014 – di ritrovarsi a dover fare i conti con una nuova bocciatura da parte del Pd. E se la prima volta, l’avvocato catanese, editore di Sudpress, si dimise annunciando querele, a seguito di un articolo di Repubblica relativo al precedente incarico di sovrintendente al Teatro Bellini di Catania, oggi il passo indietro potrebbe essere la conseguenza del clima incandescente che si è venuto a creare. Il partito di Raciti, in ogni caso, non può vestire i panni di chi racconta il sopruso e la dolenza. È rimasto prigioniero del gioco delle correnti e ora rischia di non saperne più uscire. 

Sullo sfondo rimane Davide Faraone, che probabilmente non crede ai suoi occhi. Lo avevano fatto passare per quello che destabilizzava e oggi si ritrova l’unico a poter dire d’avere avuto ragione a proiettare la Sicilia verso il voto. Che poi, passata la tempesta, ci si riesca davvero, è tutto da vedere.


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