Il governo Musumeci ha dato notizia del «disallineamento» dei dati della Protezione civile da quelli dell'Istituto superiore di sanità. La Sicilia potrà essere definita Covid free. Ma cosa e chi ha sbagliato? Quali scelte sono state fatte basandosi su cifre distorte?
Covid-19, cause ed effetti dei calcoli errati della Regione Casi fantasma, guarigioni impossibili e norme restrittive
«La Sicilia a un passo dall’essere territorio Covid free». A leggere l’annuncio con cui, giovedì sera, la Regione Siciliana ha dato la notizia di quello che è stato definito un «delicato processo di allineamento» dei dati relativi alla diffusione del coronavirus ci sarebbe soltanto da festeggiare. E, in effetti, da Palermo il messaggio è chiaro: «Sapere che il numero dei positivi in Sicilia è più basso di quello che si credeva è soltanto una buona notizia», si rimarca dalle parti dell’assessorato guidato da Ruggero Razza. Messa così, d’altra parte, chi potrebbe mai avere da ridire? La Sicilia è passata improvvisamente dall’avere in atto 805 contagi a 157. Dietro a quei numeri, però, c’è molto altro.
Quando la matematica rischia di diventare un’opinione
Dalla comparsa dei primi casi al lockdown, dal confronto tra gli infettivologi alle polemiche politiche, fino alla pianificazione della riapertura, la gestione del Covid – in Italia quanto all’estero – è un processo ancora in itinere. Tuttavia se un punto fermo sembrava esserci, quello era legato ai numeri: contagi, guarigioni, decessi. E poi R0 e RT che, tra approfondimenti giornalistici e talk show, un po’ tutti hanno imparato a conoscere. Questo fino a due giorni fa, quando la Regione ha ammesso che i dati divulgati – senza fissare una data di inizio – non erano veri. «Dall’inizio dell’emergenza, la Sicilia, attenendosi scrupolosamente alle linee guida ministeriali, oltre a trasmettere alla Protezione civile i dati provenienti dai laboratori, dagli ospedali e dai dipartimenti delle Asp, ha caricato i record su una piattaforma informatica predisposta dall’Iss. La procedura, appena ultimata, ha pertanto permesso l’allineamento dei due flussi tenendo conto delle progressive guarigioni cliniche di cittadini che sono stati singolarmente ricontrollati e dei tamponi».
Nonostante la rassicurazione – «va chiarito che i dati diffusi fin dall’inizio hanno costantemente fotografato l’andamento epidemiologico» – il dubbio che la narrazione di questi mesi sia stata involontariamente inquinata da cifre non esatte è forte. E trova conferma nelle strutture sanitarie, i luoghi che più da vicino hanno avuto a che fare con il Covid-19. Da un punto di vista medico, ma anche da quello della raccolta dei dati. «Errori ne sono stati fatti, è inutile girarci attorno – racconta un dipendente di un’Asp a MeridioNews -. Ci sono state criticità nella trasmissione delle informazioni. Da quanto tempo? Almeno da aprile». A fare la considerazione sarebbero stati pure i vertici dell’Asp di Catania, con una nota inviata all’assessore Razza.
Gli errori tecnici: tra malati virtuali e guarigioni impossibili
All’origine della lievitazione dei numeri dei contagi ci sarebbero più cause. In questi mesi, la Regione ha chiesto a tutte le strutture che si occupavano dell’esame dei tamponi – in principio solo i policlinici di Palermo e Catania, poi anche altre aziende – di inviare i dati alla Protezione civile di Palermo. La decisione è stata presa anche in considerazione del fatto che il sistema di raccolta dell’Istituto superiore di sanità ha faticato a entrare a regime.
«È stato chiesto di inviarli sia via mail che compilando i campi di una piattaforma più strutturata», spiega il dipendente. Ed è qui che sarebbero sorti i problemi. Come nel caso di errate registrazioni dei pazienti: bastava un refuso nel nome o una data di nascita sbagliata per ritrovarsi nel database centrale due contagi che, in realtà, facevano riferimento alla stessa persona. Altra questione è quella del rilievo del numero di tamponi positivi: non è detto, infatti, che a ogni esame corrisponda un paziente, in quanto una persona ricoverata è naturale che venga sottoposta a più tamponi. In questo senso, un errore di interpretazione potrebbe avere causato un aumento dei positivi. Il caso dei malati esistenti soltanto nei database avrebbe implicato anche guarigioni impossibili. Per il semplice motivo che i soggetti ritenuti positivi non erano presenti né nelle corsie di ospedale né sottoposti a isolamento domiciliare: semplicemente non esistevano. Fuorché negli elenchi della Regione, dove erano destinati a rimanere sine die.
Quali conseguenze?
Avere maneggiato dati sbagliati ha da una parte descritto una realtà con più casi certificati di quelli realmente accertati dai laboratori, ma potrebbe avere anche influenzato il calcolo dell’RT, cioè il tasso di contagiosità del virus dopo l’applicazione delle misure contenitive decise dai governi. L’errore, in questo caso, potrebbe avere portato sia a una sovrastima che a una sottostima, in base quale informazione fosse non corretta. Il disallineamento, inoltre, rimette in discussione la capacità delle singole province di contenere il virus. La virtuosità di un’area potrebbe essere dipesa, non solo da rispetto delle prescrizioni e organizzazione, ma pure dalla capacità di trasferire i dati senza errori.
Le ordinanze di Musumeci
I dati sui contagi sono stati il pilastro portante per ogni dibattito politico sull’emergenza Covid. Richieste di misure draconiane e critiche di eccessivo allarmismo si sono alternate. Trovando a volte sponsor nelle stesse persone che, in base al momento, hanno dimostrato di sapere cambiare idea. In Sicilia ad assumersi ogni onere decisionale è stato il presidente della Regione. Musumeci ha sempre ribadito l’esigenza di essere prudenti e, soltanto a fine maggio, ha auspicato un’apertura ampia. In precedenza, invece, il governatore ha firmato diverse ordinanze restrittive rispetto ai Dpcm del premier Conte. Un’opportunità data ai governatori soltanto nei casi in cui in una regione la situazione fosse più complicata rispetto al quadro nazionale.
Per molti in Sicilia, questo non è mai avvenuto, se si considera cosa è accaduto in Lombardia e in buona parte del Nord. Osservazioni che oggi, alla luce della verità sui dati dei contagi, si fanno ancora più nette. «Già all’epoca dissi che si trattava di scelte che avevano forti impatti sulle libertà dei cittadini, tutelate dalla Costituzione, scelte che erano prive di ogni fondamento – commenta a MeridioNews la giurista Vitalba Azzollini – Ora il presidente Musumeci si dichiara contento del fatto che i contagi siano meno di quanto sembrasse. Ma si scuserà con i cittadini che, senza ragione, sono stati sottoposti a soffocanti restrizioni?»
Il caso assunzioni
Che la faccenda dei numeri possa avere degli strascichi lo dimostra il caso delle assunzioni, volute dalla Regione per affiancare il personale medico nel momento clou dell’epidemia. «Un vortice di assunzioni», lo hanno definito i sindacati, sottolineando le poche tutele dei contratti di lavoro a tempo determinato. Adesso, c’è chi si chiede se era necessario, perlomeno nella misura in cui è stato fatto. «I numeri reali del contagio, ovvero quelli che si sarebbero avuti facendo tamponi a tappeto, sono quasi certamente più alti di quelli certificati – commenta un medico a MeridioNews -. Detto ciò è legittimo chiedersi quali dati sono stati considerati per stabilire il fabbisogno di medici da assumere».