Costi politica, proposta di un consigliere «Diamo un taglio ai permessi retribuiti»

Affrontando il tema dei costi della politica, perché non partire dagli enti territoriali più vicini ai cittadini? Parliamo dei Comuni, delle province e delle costituende città metropolitane. Non possiamo fare a meno di constatare che il sistema italiano si basa su una serie di contraddizioni, frutto di un bilanciamento di interessi che può essere definito eufemisticamente passibile di miglioramenti. Questi interessi nel corso degli anni hanno trovato il loro contenitore in varie discipline legislative che, per una ragione di organicità, sono confluite nel Testo unico degli enti locali (d.lgs. 267/2000), libro sacro per gli amministratori pubblici italiani.

Chi vi scrive è consigliere comunale di San Giovanni La Punta, un comune di circa 24 mila abitanti, sito alle pendici dell’Etna, in provincia di Catania. Sono stato eletto a soli 24 anni a seguito della consultazione elettorale svoltasi due anni fa e dopo pochi mesi dall’insediamento rimasi colpito dai commenti fatti da altri consiglieri decani dell’organo consiliare di cui ero ancora neofita: terminato un consiglio comunale fiume dopo la mezzanotte, qualcuno a mò di battuta disse che fino a poco tempo prima, fosse accaduta una situazione analoga, sarebbe automaticamente scattato un altro gettone di presenza (nel nostro comune pari a circa 36 euro netti ); pur tuttavia qualcuno chiese ad un funzionario di fornirgli le attestazioni che gli consentissero di assentarsi dal luogo di lavoro per l’intera giornata successiva e quindi di ottenere il permesso retribuito, dopo aver beneficiato di entrambe le cose anche nella giornata precedente. Mi bastarono pochi giorni per comprendere come questo stesso principio fosse applicato anche alle commissioni consiliari permanenti e alle conferenze dei capigruppo (queste ultime ad onor del vero quasi mai convocate).

Racconto quest’aneddoto per rivelare situazioni che magari molti non conoscono e che sono sintomo di un male grave della nostra democrazia rappresentativa. Il permesso non retribuito può avere anche una ratio, sebbene lo reputi in parte discriminatorio nei confronti dei lavoratori autonomi e di quei pochi studenti universitari come me eletti nei rispettivi consigli comunali, che non potendo chiedere un permesso, devono fare salti mortali per arrivare a lezione o per sostenere un esame; non riesco a trovare invece ragioni che giustifichino la disciplina contenuta nell’articolo 80 del Testo unico degli enti locali quello riguardante gli oneri per i permessi retribuiti che recita così: «L’ente, su richiesta documentata del datore di lavoro, è tenuto a rimborsare quanto dallo stesso corrisposto, per retribuzioni ed assicurazioni, per le ore o giornate di effettiva assenza del lavoratore».

Esso fornisce un alibi a tutti coloro che trovano ogni scusa per evitare di recarsi sul luogo di lavoro a prestare l’attività lavorativa, mortificando così il senso dell’articolo 1 della nostra Costituzione e la dignità di quelle persone che oggi eviterebbero anche la pausa pranzo pur di avere una fonte di reddito che gli consenta di sopravvivere. Nella realtà succede quindi che vi sono consiglieri comunali ordinari che percepiscono i gettoni di presenza frutto della loro presenza, si spera attiva, ai consigli o alle commissioni e consiglieri privilegiati che oltre a percepire quei gettoni di presenza, costituiscono un aggravio di spesa per le casse comunali dell’ente che deve provvedere, a cadenza mensile o bimestrale, a corrispondere ai rispettivi datori di lavoro quelle cifre legate alle ore o alle giornate di assenza.

Visto che siamo in tempo, perché non inserire la soppressione di questo punto durante la prossima discussione in Parlamento della legge di conversione del decreto legge 174/2012? Potrebbe servire a responsabilizzare maggiormente gli amministratori e a non creare regimi di trattamento differenziato di cui l’Italia è stanca.

Marco Oliveri

 

[Foto di kiki follettosa]


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