Cosa nostra in Consiglio, il caso torna all’Antimafia Fava: «Convocheremo la prefetta per chiarimenti»

Dopo l’estate toccherà alla prefetta etnea Maria Guia Federico raggiungere palazzo San Macuto, sede della commissione parlamentare antimafia. L’incaricata del governo in città dovrà relazionare su diversi episodi e temi che riguardano Catania e provincia, comprese le presunte infiltrazioni di Cosa nostra tra i banchi del Consiglio comunale di Palazzo degli elefanti. L’anticipazione arriva dal vicepresidente Claudio Fava: «Dopo la pausa di agosto la chiameremo – spiega a MeridioNews – e tra le tematiche che affronteremo ci sarà spazio anche per la vicenda dei consiglieri della città». Al centro della storia, che a quanto pare non è chiusa, c’è una lista di nomi. Scelti, dopo segnalazioni e approfondimenti, tra coloro che siedono tra gli scranni del senato cittadino. Politici finiti in un dossier redatto dalla commissione regionale antimafia guidata dal deputato Nello Musumeci e poi passato all’organismo nazionale. 

Sotto la lente d’ingrandimento affariparentele ma anche i presunti sostegni elettorali che otto candidati avrebbero ottenuto durante l’ultima tornata elettorale. Quella che nel 2013 ha sancito il ritorno di Enzo Bianco alla carica di sindaco, dopo il quinquennio di Raffaele Stancanelli. La questione ha sollevato numerosi dubbi e tra questi due sono collegati direttamente ai poteri che la prefetta etnea può esercitare insieme al ministero degli Interni: ossia la nomina di una commissione di accesso agli atti per verificare l’attività svolta in municipio, passo propedeutico per l’eventuale scioglimento del Consiglio comunale. A esprimersi su questo punto era stato proprio Fava che aveva espressamente richiesto l’invio degli emissari della prefettura perché c’è «un concreto rischio di condizionamento criminale», spiegava. 

Qualora venissero incaricati, i funzionari sarebbero chiamati a visionare carte e faldoni dell’attività comunale per poi mettere, entro 90 giorni, tutto nero su bianco in una relazione conclusiva. Tra gli elementi che normalmente vengono verificati ci sono anche i possibili collegamenti, «diretti o indiretti, degli amministratori locali con la criminalità organizzata o, in alternativa, il condizionamento che la mafia potrebbe imporre al Consiglio». Questo nuovo caso Catania ha già obbligato il sindaco Enzo Bianco a recarsi a palazzo San Macuto. Il primo cittadino non aveva convinto con le sue risposte, tanto da indurre Fava ad accusarlo di mentire con «bugie grossolane». La prefetta dal canto suo, almeno per il momento, sulle 17 pagine della relazione non si è mai espressa pubblicamente.

Motivo per il quale la vicenda dei consiglieri e delle presunte infiltrazioni di Cosa nostra nel senato cittadino è finita anche sulla scrivania del ministro degli Interni Angelino Alfano. Il titolare del Viminale ha però liquidato l’interrogazione parlamentare spiegando di non avere nessuna intenzione di inviare i commissari a Catania. «Non ci sono gli elementi che possano consentire l’accesso di una commissione ispettiva», aveva risposto, lasciando comunque uno spiraglio: «L’attività di osservazione – aveva concluso Alfano – non verrà certo a esaurirsi e verrà riferito ogni elemento che possa far cambiare la valutazione».


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