Poco prima delle tre le fiamme sono divampate all'interno di una delle fosse del grande viale che conduce alla stazione. Ci sono volute diverse ore per spegnere il fuoco che ha distrutto undici baracche. Nessun ferito fortunatamente. «Ma il rischio è stato grande, alcune bombole di gas miracolosamente non sono esplose», spiegano i vigili del fuoco. Rassegnazione tra la comunità bulgara che abita qui. «Oggi qualcuno si ricorda di noi, ma nel resto dei giorni se ne fregano tutti». Guarda le foto e il video
Corso Martiri, incendio nella baraccopoli «C’erano bombole, poteva essere strage»
«Poteva essere una strage». Dopo sei ore di lavoro incessante dei Vigili del fuoco, le fiamme covano ancora sotto la montagna di spazzatura e lamiere della baracca centrale di Corso martiri della libertà, dove stanotte, poco prima delle tre, è scoppiato un incendio di vaste proporzioni. «Il fuoco ha raggiunto diversi metri d’altezza», raccontano i residenti di via Archimede, e si è propagato rapidamente, trovando nelle misere baracche fatte di legno, plastica e lamiera e nei cumuli di rifiuti, facile materiale combustibile. Il bilancio alla fine è di undici casupole distrutte, ma fortunatamente nessun ferito. «Si è rischiato grosso, perché c’erano diverse bombole piene di gas che miracolosamente non sono esplose», spiega il caposquadra dei vigili del fuoco, chiamati nella notte da un passante che ha visto il fuoco e arrivati sul posto alle 3.29.
Non è chiaro cosa abbia dato origine all’incendio. I bulgari che abitano nelle baracche parlano di cause naturali, di fili elettrici che si sono surriscaldati. Per i Vigili del fuoco le cause non sono accertabili. «C’è troppo materiale», sottolineano. Nella baracca centrale del corso che aspetta da 60 anni di essere riqualificato, vivono in 30, compresi diversi bambini. Sono tornati dopo che l’amministrazione dell’ex sindaco Raffaele Stancanelli aveva svuotato le fosse, annunciando l’inizio dei lavori. Era aprile: ingressi alle fosse murati, restava la spazzatura. «Grazie ai volontari della chiesa evangelica, quando sono uscito da qui, ho trovato una casa in affitto – racconta uno dei più anziani – ma senza lavoro è durata quattro mesi, poi sono tornato qui. Ma vorrei andarmene, oggi per Catania è successo un evento e qualcuno rivolge l’attenzione a noi, ma nel resto dei giorni tutti se ne fregano». Nella prima fossa, quella più vicina a piazza della Repubblica, vivono invece otto africani. I lavori, al di là di un nuovo muro di recinzione, non sono mai iniziati e la giunta del sindaco Enzo Bianco, a cui il progetto dell’architetto Mario Cucinella non convince del tutto, ha preso tempo per studiare il piano.
Alle nove del mattino le fiamme non ci sono più, ma si alza un denso fumo accompagnato da un odore acre e nauseabondo. Tra chi vive nella baraccopoli c’è rassegnazione. Rosa, una donna di 45 anni, piange: «Sono nonna, ho tre nipoti piccoli e stanotte non so dove andare perché la mia casa è distrutta», spiega. C’è chi se la prende con gli italiani. «Ci odiano, mesi fa un ragazzo con un motorino ha buttato della benzina dentro per dare fuoco», ricorda un uomo. Ma stavolta sembrerebbe escluso che le fiamme abbiano avuto origine dall’esterno. «Altre volte sono divampati piccoli incendi – conclude Filippo Immè, volontario dell’associazione Accoglienza e solidarietà che assiste da tempo queste persone – ma mai se n’era registrato uno di queste dimensioni».