La corsa di Catania verso il cielo con palazzi sempre più alti. Esperto: «Torri per pochi, aumenteranno i costi sociali»

Una corsa verso il cielo presentata come un’occasione di rigenerazione urbana all’insegna della sensibilità nei confronti dei cambiamenti a cui va incontro il mondo. Lo sviluppo verticale di Catania prende sempre più forma con cantieri e torri avveniristiche, più o meno alte, in diversi angoli del capoluogo etneo. Tra le più imponenti c’è Zefiro A, il cui scheletro ormai è ben visibile a Ognina, lungo la nuova bretella che conduce in via del Rotolo. Quattordici piani e 54 metri di altezza per un’operazione targata Zefiro Holding srl e un progetto affidato a Base51 Architettura. Lavori iniziati nel 2021 e non ancora ultimati, ma che hanno superato una denuncia sulla presunta illegittimità del permesso a costruire. In questo palazzo, tramite un video, ha raccontato di avere comprato casa la conduttrice Diletta Leotta. «La casa dei miei sogni – spiegava nel filmato – per un progetto di riqualificazione urbana sostenibile che nasce con lo scopo di vivacizzare una zona e donare alla città un’opera di architettura contemporanea».

Poco distante, al civico 27 di via Battello, è stata annunciata la costruzione di Torre Flo: dodici piani74 appartamenti, 120 metri quadrati di pannelli solari e 400 metri quadrati di giardino verticale. A occuparsi di tutta l’operazione è la società Nostra Immobiliare, attiva nel settore anche in Polonia. «Non ho un pregiudizio per torri o grattacieli. Resto perplesso però per la retorica con cui questi interventi, a Catania come a Milano, vengono presentati, ossia un’occasione di sviluppo sostenibile e di rigenerazione urbana. Si tratta, piuttosto, di una soluzione in cui l’architettura vuole essere glamour, per piacere e per piacersi, col rischio di incentivare processi di standardizzazione in termini di skyline», spiega a MeridioNews Carlo Colloca, professore associato di Sociologia urbana all’Università di Catania.

«La rigenerazione urbana tiene conto di aspetti economici, sociali e culturali – continua Colloca – Se andrà a finire come il bosco verticale di Stefano Boeri, dove gli appartamenti hanno un costo di 14mila euro a metro quadro, tutto questo come si sposerà con l’idea di sostenibilità? Ho la sensazione che i profili estetici di operazioni del genere abbiano schiacciato quelli etici. Un po’ come nel Medioevo, dove si faceva a gara ad avere la casa-torre più alta per ostentare la propria posizione socio-economica».

L’altro nodo della riflessione è quello legato alla coerenza di questi interventi con il paesaggio circostante. Zefiro A, per esempio, si imporrà in tutto lo scenario del borgo marinaio di Ognina e di rimando anche nello storico quartiere Picanello. In città però ci sono altre costruzioni quasi complete. In via Vincenzo Giuffrida c’è Torre G. Appartamenti realizzati da LA.GI. Costruzioni di Catania, mentre a curare il progetto è sempre lo studio Base51 Architettura. Si tratta di una torre residenziale di 11 piani e alta 40 metri. C’è poi il residence Blu, lo sta costruendo Pyramis Costruzioni su progetto di Base51: sette piani più il parcheggio in via Dalmazia 29. Lungo viale Africa, al civico 180 sorgerà il complesso Viva Flo. Il progetto prevede la realizzazione di 18 unità abitative, 9 uffici e 8 spazi a uso commerciali. Tutto distribuito su due palazzine. A occuparsi del progetto è la società Nostra Immobiliare, la stessa di Torre Flo a Ognina. Il nuovo complesso di fatto sarà a pochi metri di distanza dalla nuova cittadella giudiziaria. Un nuovo complesso è in costruzione anche in via Scammacca, nei pressi di via Firenze. La ditta committente è la Immogest, operativa dal 2019 e con sede a Catania: il progetto prevede la realizzazione di un blocco edilizio a 15 elevazioni e con posti auto interrati.

«Catania vista dall’alto è qualcosa di disorganico e tra un po’ vedremo svettare anche queste torri. E poi, quando abbassiamo gli occhi sulla città, registriamo una profonda fragilità della dimensione sociale e comunitaria. Crescere in verticale con torri accessibili a pochi incrementerà potenzialmente costi sociali, ossia l’espulsione verso nuovi ghetti urbani di popolazioni urbane economicamente vulnerabili». Riferimento, con le dovute proporzioni, non solo alle torri di Milano, ma anche a quelle che caratterizzano diverse città arabe. «Noi abbiamo l’unicità del paesaggio etneo, che aggrediamo da tempo. Fondare una nuova città nel deserto è un discorso, alterare un paesaggio ben definito (da quello etneo ai paesaggi toscani, ndr) è altro. Non vorrei che fosse una scelta conformista per inseguire il sogno di una Milano del Sud che ormai non esiste più».


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