«Tutti devono restare a casa. Ma se uno non ce l'ha, come fa?». A porre la questione davanti alla telecamera di MeridioNews è Giorgio, uno dei clochard etnei. «Oltre al kit igiene, stiamo distribuendo mascherine e igienizzante». Guarda il video e le foto
Coronavirus, la quarantena impossibile dei senzatetto Il giro notturno con l’unità di strada nella città deserta
«Tutti devono rimanere a casa. Ma se uno non ha casa, come deve fare?». Giorgio è l’unico dei senzatetto che abbiamo incontrato durante il nostro giro serale insieme agli operatori dell’unità di strada a indossare una mascherina Ffp dotata di filtro. Sulla pandemia del nuovo coronavirus sa molte cose tranne una. «Come faccio a evitare il contagio?». Barbara, invece, la mascherina la indossa quando le viene fornita. «Io me la metto, ma ‘stu virus è l’ultimo dei miei problemi. Ho sentito dire che raccomandano di stare a casa. Anche io oggi sono uscita solo una volta». Parla in dialetto catanese e, da anni, vive insieme al marito sotto uno dei portici di piazza Verga. Uscire per lei significa lasciare il suo giaciglio di cuscini e coperte. Rispettare le misure previste nel decreto del presidente del Consiglio dei ministri Giuseppe Conte su #iorestoacasa per lei, come per gli altri – circa una novantina – senzatetto etnei, è impossibile.
Le notizie che hanno sul Covid-19 sono frammentarie e gli strumenti per contrastare il diffondersi del contagio quasi nulli. «È per questo che al cibo, al vestiario e al
kit igiene che distribuiamo di solito abbiamo aggiunto mascherine, gel igienizzante e materiale informativo», spiega a MeridioNews Alessandro Venezia, il sociologo che coordina le attività dell’unità di strada del progetto Radici. Il servizio, da dicembre, è stato appaltato dal Comune di Catania al consorzio Sol.co e viene gestito dalla cooperativa Mosaico, centro di prossimità della fondazione Èbbene. «La prima difficoltà che ci troviamo ad affrontare è la resistenza nei confronti delle misure di protezione», dice Patrizia Calvagna, la tecnica per la riabilitazione psichiatrica dell’equipe che conta anche l’infermiera Anna e un mediatore culturale.
L’appuntamento è alle 19.30 davanti alla loro sede, nella zona di
piazza Maria Montessori. Sul furgoncino vengono caricati bottigliette d’acqua, scatolame vario, un grande vassoio di rosticceria, buste piene di vestiti pesanti, e kit igienici. Dopo una prima tappa a piazza Trento, si va al Porticciolo Rossi dove vive Salvatore insieme ai suoi cani. Da qualche tempo, a lui si è unito anche Mamud. «Oggi ho parlato al telefono con mia sorella che è rimasta in Egitto – ci racconta – anche là è tutto chiuso e lei mi ha detto che sta bevendo molto miele con il limone. A me pare sia più grave di così», dice in un italiano ancora un po’ stentato. Anche a loro gli operatori lasciano il foglio illustrativo con un numero verde da contattare in caso si manifestino i sintomi del coronavirus, anche perché questa gente non ha nemmeno un medico di famiglia. Gli raccomandano anche di lavarsi spesso le mani con l’igienizzante, di indossare la mascherina e di mantenere la distanza di sicurezza di almeno un metro dalle altre persone.
La tappa successiva è a piazza Verga. Su una panchina c’è
Giovanni, un uomo di mezza età, trasandato ma ben vestito. Quando ci vede arrivare si alza e si sistema i capelli. «Prima della crisi – dice – io avevo un lavoro e una famiglia». Mentre ritira tutto il materiale, si avvicinano anche due ragazzi stranieri che chiedono «qualcosa per il freddo». Del Covid-19 non hanno mai sentito parlare prima di quel momento ma avute le mascherine le indossano subito. Vale lo stesso per Daniele e suo zio che si sono sistemati un giaciglio di fortuna.
Girando l’angolo di viale Africa su un largo marciapiede, davanti alle
vetrine illuminate di un negozio di mobili, una coppia dorme sotto un piumone. Poco più avanti, è da un accrocco di scatoloni sotto gli archi che viene fuori un giovane ragazzo di colore. «Il virus non mi spaventa», dice mentre accetta comunque tutto il materiale fornito dagli operatori. Proseguendo sulla stessa via ci sono il colonnello e sua moglie. Lui ha un accento palermitano e, tra coperte, cartoni e una sedia a rotelle, ha in bella mostra quelle che dice essere le sue medaglie al valore. Arrivati alla stazione centrale, ci viene incontro un uomo di origini marocchine. «Ho sentito di questo virus ma con o senza mascherina per noi cambia poco. Come facciamo ad avere tutte le informazioni che ci servono e a rispettare le misure per prevenire il contagio?», dice prima di ringraziare soprattutto per il gel per le mani.