Coronavirus, la pandemia vista da una studentessa Erasmus Pensieri, paure e difficoltà vissute da Madrid a Washington

Non mi sarei mai aspettata, quando a settembre sono partita per Madrid, che oltre al mal di testa post club notturno e l’affitto da pagare, avrei dovuto affrontare una pandemia. Quando all’Università ho compilato il Learning Agreement, nessun parlava della possibilità di racimolare crediti extra adottando norme collegiali per la gestione di una emergenza sanitaria. Eppure, è successo. L’emergenza sanitaria, non i crediti extra. Da quando in Spagna è stato dichiarato lo stato di allerta e sono stati adottati provvedimenti come la chiusura di quasi tutti i negozi – esclusi generi alimentari, farmacie e pochi altri – e la semi chiusura delle frontiere terrestri, marittime e aeree, le persone hanno preso coscienza di cosa significhi mettersi in fila ordinatamente, rispettando il distanziamento sociale di cui si parla oggi in Italia. Cosa che per Madrid, città che al momento conta 5637 contagiati, è una rivoluzione. Dando un’occhiata su internet o su Instagram (hashtag #yomequedoencasa) è possibile vedere strade, note per il loro carattere torrenziale, oggi vuote e calate in un’atmosfera da Far West. Ma quella che potrebbe sembrare desolazione è la prova della responsabilità di una città, che dai social si incoraggia a rimanere ferma, in casa, tra una ricetta e una sessione di squat.

In quarantena da ormai sette giorni, sono stata contattata due volte dall’Università di Palermo. La prima, con una mail confusionaria che parlava di un possibile volo Madrid (Barajas) – Roma (Ciampino), per il quale avrei dovuto comunicare il mio nominativo entro le ore 11.00 del giorno dopo. Una mail che ha messo in crisi me e la mia collega a Salamanca. In poche ore, abbiamo dovuto fare i conti con le prospettive di un rientro immediato di cui non riuscivamo a definire le conseguenze. Cosa avremmo fatto una volta a Roma? Ci avrebbero messo in quarantena lì oppure a casa? E come saremmo tornate a casa? Nessuna risposta è mai giunta. Solo qualche giorno dopo mi venne riferito che il collega di una mia amica a Valencia aveva chiamato personalmente la Farnesina si era sentito dire che in quel momento non erano previsti voli e che era stato tutto un fraintendimento fra università italiane e Consolato di Barcellona.

In seguito a questa mail ne è giunta un’altra il 17 marzo, impostata in modo diverso. Se nella prima prevaleva il tono dell’urgenza e dell’allerta, nella seconda si faceva il punto della situazione, inviando agli studenti tutte le coordinate utili per prendere una decisione consapevole: i link dei più recenti provvedimenti del Governo italiano in materia di rimpatri (ad esempio, dall’ultimo decreto ministeriale si evince l’obbligo di denunciarsi alle autorità sanitarie dopo essere rientrati e l’obbligo all’auto isolamento per 14 giorni); i link per la registrazione al sito Dove siamo nel Mondo, per potere beneficiare dell’assistenza delle Rappresentanze diplomatiche italiane all’estero, nel caso in cui decidessimo di interrompere il periodo di mobilità e si registrassero difficoltà nelle operazioni di rientro in Italia; sono stata inoltre informata che in base all’ultima comunicazione della Commissione Europea alle Università, è prevista la possibilità di cancellare, sospendere o posporre le attività del programma Erasmus+ appellandosi alla “causa di forza maggiore”, senza alcun onere aggiuntivo per i fruitori delle borse.

La mail informava inoltre del lavoro del Ministero degli Affari Esteri, la cui unità di crisi ha attivato un partenariato con Alitalia per organizzare alcuni voli da Madrid o altre capitali europee, per consentire il rimpatrio di connazionali bloccati all’estero. La mail allegava inoltre i contatti di membri dell’ambasciata, che sono stati utili per ottenere più informazioni su quali siti si debba consultare oggi e che mi hanno indirizzato nel reperire altre informazioni. C’è un questionario da compilare per chi fosse interessato a tornare, e ci sono inoltre al momento alcune tratte disponibili, o dirette o con triangolazioni; seguiva un elenco di voli confermati a partire da città come Parigi o Zurigo. Era inoltre citato un traghetto da Barcellona a Civitavecchia. Il problema, in realtà, non si pone tanto per me, che sono vicino Madrid, ma per chi abita in altre zone della Spagna, e che dovrebbe utilizzare i mezzi pubblici la cui frequenza è stata dimezzata. Al momento ho deciso di restare, perché non ho manifestato sintomi e qui nel mio appartamento, dopo l’esodo degli studenti Erasmus e spagnoli – ognuno tornato dalla capitale alla città di origine – sono rimasta da sola e piena di scorte di cibo. La situazione ideale per una quarantena. Ma le storie sono tante e sono diverse.

Così la mia collega, V., a Valencia, racconta che non è abituata a stare da sola a lungo, e che il timore della sua famiglia è che lei non possa reggere bene questo periodo di solitudine. «Ho avuto alcuni crisi di panico, vomitavo ciò che mangiavo – racconta – Adesso sto un po’ meglio. Ho lustrato la mia stanza da cima a fondo, arrivando a pulire anche i quaderni. Cerco di razionalizzare pensando che però non è un periodo facile per nessuno. Dobbiamo cercare di uscire dalla nostra testa e metterci nei panni degli altri, che sono alla fine i nostri». E i dubbi che sorgono su questo eventuale spostamento non sono solo di ordine etico, ma anche economico: da Valencia, infatti, un taxi verso Madrid sarebbe troppo costoso, e l’app BlablaCar, che consente di fare da autostoppisti nelle vetture altrui, non sembra certo un’opzione sicura. Al momento, quindi, V. sta ponderando cosa sia meglio fare.

In viaggio è invece D., un ragazzo palermitano che studia in Francia e stava facendo un periodo di mobilità a Washington. «Qui le persone non hanno ancora contezza di quello che sta accadendo, sono in aeroporto e nessuno ha le mascherine o i guanti usa e getta. Devo prendere un volo Washington-New York, e da lì un diretto per Roma. Lo sto facendo perché mi sono messo in contatto con l’Ambasciata, e mi hanno caldamente consigliato di andarmene. So che quando tornerò dovrò comunicarlo alle autorità e mettermi in isolamento. Fossi stato in Francia, non mi sarebbe passato per la mente di spostarmi in un momento come questo, perché in quanto europeo godo comunque di una assicurazione sanitaria. Qui negli Stati Uniti, invece, l’assicurazione che ho stipulato all’inizio del mio periodo di mobilità, non mi coprirebbe al 90 per cento». Sono ormai quasi le otto di sera, mentre scrivo. Attendo l’applauso quotidiano, una costante italiana adottata anche qui in Spagna. Le persone ieri sbattevano pentole e cucchiare, sventolavano i telefoni con la torcia accesa, come fiaccole. Non conosco nessuno di loro, eppure da quattro giorni mi strappano un sorriso.


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