Coronavirus, in tribunale astensione dal 6 al 20 marzo Decisione presa da Ocf, non dal Ministero. «Non è etico»

Le misure per contenere l’emergenza Coronavirus approdano anche nei palazzi di giustizia, dove è stata disposta l’astensione dalle udienze dal 6 marzo fino al 20 marzo. Una decisione, però, che non arriva dal Governo nazionale, come nel caso delle scuole, ma dall’Organismo Congressuale Forense, che si è riunito ieri sera per affrontare la questione. I sette avvocati membri, riuniti in conferenza online, accogliendo un tema nei giorni scorsi posto da numerosi altri colleghi, hanno deliberato «l’adesione all’astensione, che sarà considerata legittimo impedimento del difensore in ogni tipo di procedimento, oltre ad essere dichiarata personalmente o tramite sostituto del legale titolare della difesa o del mandato all’inizio dell’udienza o dell’atto di indagine preliminare, potrà essere comunicata con atto scritto trasmesso o depositato nella cancelleria del giudice o nella segreteria del pubblico ministero oltreché agli altri avvocati costituiti, con espressa deroga al termine di due giorni, in considerazione delle ragioni di pericolo sanitario sottese all’astensione».

Disponendo l’immediata trasmissione della delibera, oltre che a tutte le rappresentanze istituzionali e associative dell’Avvocatura Italiana, al Presidente della Repubblica, ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati, al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro della Giustizia, al Ministro dell’Economia e Finanze e ai Capi di tutti gli Uffici Giudiziari Italiani. Soggetti dai quali, a sentire alcuni avvocati, ci si sarebbe aspettata, e già nei giorni scorsi, una scelta di questo genere. Che invece arriva solo adesso ma da parte di un organismo privato, come questo che costituisce la rappresentanza sindacale dell’avvocatura italiana. «In linea di principio è un provvedimento condivisibile. Ma è errato nella provenienza, DEVE disporre tale atto il Ministero, stiamo parlando di pubblica incolumità, non è corretto far ricadere sugli avvocati cause di rinvio, con le conseguenze note agli addetti ai lavori, sui clienti, sui colleghi e sui testi – osserva l’avvocato palermitano Michele Calantropo, membro del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Palermo -. Un Governo che si rispetti non delega ai privati la salute della nazione, ma tutela tutti i cittadini. Io non mi asterrò, e se dovessi contrarre il virus in tribunale, farò causa al Ministero ed al Governo, perché sarà colpa loro».

Una dichiarazione provocatoria, ma che fa emergere in maniera chiara certe criticità rispetto alle quali gli avvocati sono stati, in un certo senso, lasciati soli. Non sono mancate, infatti, le polemiche rispetto a una decisione che si attendeva da prima e da parte di altri soggetti. «Questa cosa è surreale – commenta anche l’avvocato Giovanni Provenzani, proprio in risposta alla riflessione del collega Calantropo -. Siamo chiamati noi ad astenerci in presenza di una situazione oggettiva di pericolo… Un esempio di totale incapacità di assumere decisioni». Resta il fatto che, al di là delle polemiche, qualora ci si voglia allineare alla delibera, astenendosi quindi dalle udienze fissate in quell’arco di tempo, l’avvocato dovrebbe comunque recarsi in tribunale per dichiarare la propria astensione, appunto, in udienza (lui o chi per lui): «Dov’è quindi la misura anticontagio?», si chiede qualcun altro a questo punto. «Non credo che l’astensione debba essere considerata solo come mezzo per prevenire il contagio – osserva un altro legale -. Credo che sia anche una forma di protesta contro un ministro assente in un momento così delicato», il riferimento è verosimilmente al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede.

Finora le misure adottate all’interno dei tribunali si erano limitate alla sospensione delle udienze nei procedimenti civili, penali, amministrativi e contabili degli uffici nel cui ambito di competenza rientrano i Comuni inseriti nella cosiddetta zona rossa e di quelli in cui le parti o i loro difensori abbiano residenza o sede negli stessi Comuni, con l’eccezione dei procedimenti connotati da urgenza. Ok alle sole udienze con le parti coinvolte nei procedimenti civili e l’appello ai presidenti a celebrare i processi penali a porte chiuse o con un numero ristretto di persone ogni volta che è stato possibile. Tutte misure, secondo l’Ocf, «assolutamente non adeguate a ridurre ragionevolmente il rischio di contagio in relazione alle specifiche modalità di interazione che connotano le attività giudiziarie in quanto. Il rischio di contagio – spiega più avanti – si sta palesando in modo crescente su tutto il territorio nazionale e già numerosi avvocati e magistrati hanno contratto il contagio». A Palermo, non a caso, ci sono anche alcuni magistrati che si sono messi in autoquarantena.  

«Ogni avvocato e ogni magistrato – prosegue la nota dell’Ocf -, nello svolgimento delle proprie funzioni interagisce quotidianamente con un numero molto elevato di persone e inoltre gli avvocati operano in modo indistinto sul territorio nazionale, senza alcuna limitazione. Negli uffici giudiziari converge un afflusso di persone non limitato alle sole parti e ai loro difensori, ma esteso a testimoni, consulenti, verificatori, coadiutori e altri. Si concretizza il rischio che gli uffici giudiziari italiani divengano grande veicolo di contagio diffuso e incontrollato. La gestione – si legge più avanti ancora – continua in gran parte ad essere demandata a scelte discrezionali dei capi degli uffici giudiziari che, nella maggior parte dei casi, hanno assunto provvedimenti volti a limitare le possibilità di contagio nelle sole aule di udienza e all’interno delle cancellerie (peraltro con esiti evidentemente insufficienti, visto il caso di Milano), ma non hanno alcuna incidenza sulle condizioni in cui gli avvocati, le parti, i testimoni e gli ausiliari debbano attendere lo svolgimento delle attività di rispettiva competenza».


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